Menu

Verso la festa della Devota della Costa / 1

devota1Ai primi di agosto la Val Ceno, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza-Bobbio, è in festa per la Devota della Costa, al secolo Margherita Antoniazzi, serva di Dio, religiosa del ‘500, ancora oggi nel cuore della popolazione della sua terra.
Vogliamo preparare le celebrazioni ripercorrendo grazie a Gaia Corrao la sua vicenda umana.

Dagli intrighi di palazzo all’Appennino

Nel Cinquecento guerre e congiure di palazzo erano all’ordine del giorno.
Negli anni in cui visse la Devota della Costa, dal 1502 al 1565, la città di Piacenza cambiò padrone ben sette volte, vedendo alternarsi al suo governo francesi, pontifici, farnesiani, imperiali.
Nessuno poteva dirsi al sicuro, nemmeno all’interno degli splendidi palazzoni rinascimentali che ospitavano i notabili dell’epoca.
Lo spettro del tradimento e dell’attentato improvviso era sempre in agguato. Emblematico a questo proposito quanto accadde nel 1547 al duca Pierluigi Farnese, sgozzato senza pietà all’interno del suo gabinetto ducale e fatto precipitare dalla finestra del palazzo nel sottostante fossato.

Nella Chiesa si stava preparando il terreno per il grande Concilio di Trento, che avrebbe finalmente portato fermenti di novità dall’interno, soprattutto nel clero. In questo contesto, lo Spirito Santo non mancò di ispirare figure di grande calibro, che furono come una luce nell’oscurità. Fra tutti, ricordiamo il vescovo beato Paolo Burali, fondatore del seminario di Piacenza, e Sant’Andrea Avellino, primo direttore spirituale.

Dio non si fermò qui.
Volle che anche sulle montagne dell’Appennino piacentino sbocciasse un timido fiore il cui profumo si sarebbe diffuso per tutta l’alta Val Ceno.
Insieme a Franca dei conti di Vitalta, vissuta a cavallo del 1200, monaca cistercense medievale fondatrice di un monastero sul Montelana, Margherita Antoniazzi dei Carlotti, passata alla storia come la Devota della Costa, rappresenta l’altro esempio della santità femminile piacentina.

Vissuta sempre tra i monti, lontana dal fragore della città e dai suoi tumulti, Margherita non fu estranea al mondo.
Ricercata dai potenti come consigliera, ammirata dai contemporanei per la sua inesauribile carità, Margherita fu poi per una serie di circostanze sfortunate, vittima di una sorta di congiura del silenzio che avrebbe voluto farla dimenticare da tutti.
Nonostante ciò la sua fama di santità è giunta fino a noi.

Il ricordo della sua vita e delle sue opere è ancora vivo negli abitanti di quei borghi. 
È stato recentemente fondato un comitato che ha poi portato alla riapertura del processo di beatificazione, già precedentemente aperto per ben due volte all’indomani della sua morte, ma poi inspiegabilmente fermatosi.

Una bambina speciale

Margherita nacque il 9 marzo 1502 a Cantiga di Costageminiana, attualmente nel comune di Bardi, provincia di Parma, ma territorio della diocesi di Piacenza-Bobbio.
Questo minuscolo villaggio appollaiato sulla montagna, sulla sinistra del torrente Ceno, di fronte al monte Pelpi, sorge “in luogo piuttosto ameno e ridente e di dolce declivio, tutto a’ prati e a camperelli, con vigneti sparsi qua e là, ben procurati e condotti”, come si legge nel volume dei processi di canonizzazione, conservato nell’archivio parrocchiale di Costageminiana.

I genitori di Margherita, Carlo Antoniazzi detto dei Carlotti e Bartolomea Merizzi, erano poveri contadini.
Vivevano in una casetta disadorna e misera, composta di due ambienti: la stalla al pian terreno e una stanza al piano superiore nera per il fumo del caminetto, dove si svolgeva la vita della famiglia.
I signori Antoniazzi avevano altri due figli: Antonina che andò presto in sposa ad un membro della famiglia Bracchi di Santa Giustina e Luchino, che rimase invece a coltivare il campo paterno.

Le condizioni di estrema povertà in cui versava la famiglia costrinsero i genitori di Margherita, sia pur a malincuore, ad allontanare la ragazza da casa poco più che bambina.
Così per sopperire ai tanti bisogni della sua famiglia, Margherita all’età di appena dodici anni, dovette lasciare i suoi e andare a servizio a Cabianca, nel territorio di Varese Ligure, dove rimase per circa un anno lavorando come guardiana di pecore.

Non fu un periodo facile. La bimba dovette soffrire molto per la lontananza dalla sua casa e dalla madre, cui era molto legata.
Queste sofferenze contribuirono certamente a forgiare il carattere di Margherita, che crescendo divenne una ragazza forte e volitiva.

Vivendo all’aria aperta dalla mattina alla sera, Margherita ebbe modo di osservare attentamente l’ambiente che la circondava.
Rimase enormemente impressionata dal grande numero di persone, uomini e donne ancora più poveri di lei, che vagavano tutto il giorno lontani dalle loro case, in cerca di un tozzo di pane con cui sfamarsi.
Intenerita da quelle icone del degrado umano, Margherita cominciò a dividere con loro quel poco di cibo che le veniva preparato dai padroni per la sua giornata di lavoro.
Quando però ciò giunse all’orecchio dei suoi padroni questi, attribuendo l’atteggiamento della ragazza ad eccessiva delicatezza di gola, anziché ad autentico spirito di carità verso i poveri, le tagliarono senza tanti complimenti i viveri, riducendoli a metà.
Margherita non si lamentò, non reclamò.
Continuò invece a dividere con chi aveva ancora meno di lei il magro contenuto del suo fagottino.

Fu durante il periodo di permanenza a Cabianca che Margherita rimase orfana di padre e forse, proprio in seguito a questo lutto, la mamma pensò di richiamarla a casa nella speranza di riuscire a tenere l’amata figlia con sé.
Purtroppo non fu possibile, perché ben presto un improvviso rincaro del prezzo dei viveri e l’assoluta mancanza di mezzi per provvedervi, costrinse di nuovo la donna a mandare la figlia a lavorare fuori casa.

Margherita radunò di nuovo le sue povere cose e si incamminò verso la casa del nuovo padrone.
L’uomo si chiamava Sabadino Strinati e abitava a Sarizzuola, un paese poco oltre il Ceno non lontano da Cantiga.
Fortunatamente questa volta Margherita finì a servizio di una persona per bene e buona. Le fonti ce lo descrivono come un “uomo retto e semplice di cuore”, che trattava la ragazza con garbo e avendone riguardo come di una figlia.

Ripresa la vita di prima a servizio delle pecore, Margherita tornò anche alle vecchie buone abitudini di un tempo e ricominciò a dividere il suo pasto con i poveri del luogo, verso i quali nutriva sentimenti di ardente carità.
Durante le lunghe giornate trascorse sui pascoli, pregava molto. I testimoni dei processi per la causa di beatificazione riferirono che la giovane aveva l’abitudine di fermarsi nei luoghi più solitari e appartati, dove pur tenendo d’occhio il gregge, trascorreva lunghe ore recitando la corona del rosario che teneva sempre in tasca a più riprese, “senza mostrarsene mai sazia”.

Fu in questo periodo che Margherita cominciò a manifestare i primi atteggiamenti mistici.
I medesimi testimoni riferiscono infatti di certi rapimenti estatici, durante i quali la ragazza vedeva la “Beata Vergine biancovestita” e lungamente si intratteneva a conversare con lei.
Da questa singolare circostanza alcune persone maliziose colsero l’occasione per andare a riferire a Sabadino che Margherita anziché seguire il gregge, si perdeva in chiacchiere con una signora sconosciuta.
Grazie a Dio, quel buon uomo si fidava ciecamente della sua Margheritella e non diede alcun seguito a certe chiacchiere.
Presero allora a dileggiarla quando la trovavano che snocciolava il suo rosario. Per tutta risposta lei cominciò a tenerlo nascosto sotto il grembiule, in modo da poter pregare in pace senza che gli altri se ne accorgessero.

Margherita fuggiva gli svaghi e i giochi tipici della sua età. Anzi, i testimoni sono concordi nel raccontare che si concedeva solo brevi sonni e il più delle volte sulla nuda terra o su pungenti fascine. Ciò unito ai prolungati digiuni, all’intensa preghiera e alle quotidiane opere di carità faceva di lei una creatura più del cielo che della terra.
La tradizione vuole che pur non sapendo leggere né scrivere, Margherita avesse imparato a recitare la narrazione della Passione di Nostro Signore, il Padre Nostro e l’Ave Maria direttamente dalla Madonna.
Fu dunque la Vergine stessa ad insegnarle a recitare il rosario, che rimase per tutta la vita la sua più intima compagnia.

La peste del 1524

Margherita era “di aspetto anzi che no avvenente, talché attraeva parenti e amici a vezzeggiarla; ma andava poi essa adorna di un riguardo così colombino e modesto, che infondeva nei petti di chi l’ascoltava sensi soavi di casti affetti e di verginal pudicizia”.
Questa la descrizione della ragazza fatta dai suoi contemporanei: una di quelle bellezze delicate che infondono rispetto e ammirazione.
Quando finalmente poté fare ritorno a casa dopo parecchi anni spesi a servizio del buon Sabadino Strinati, la mamma la trovò ormai giovane donna, “ben messa nella persona, agile di membra, di complessione robusta”.

Furono per madre e figlia giorni felici. L’anziana donna realizzava finalmente il sogno accarezzato durante tutto il tempo della lontananza.
Allentato dopo anni di durissimi sacrifici il morso della miseria e della fame, si schiudeva per la famiglia Antoniazzi un futuro sereno.
Margherita dal canto suo si rallegrava intimamente della ritrovata compagnia della mamma e dei fratelli.
Ahimè, quei giorni di pace non dovevano durare ancora a lungo. L’ombra di una sciagura stava per distendersi sopra le terre di Bardi e su tutto il piacentino.

Correva l’anno 1524. Margherita aveva 22 anni.
Improvvisa scoppiò la peste, come un fulmine a ciel sereno e cominciò a mietere vittime ovunque, spargendo morte, lutto, disperazione per ogni dove.
Quella del 1524 fu una calamità di dimensioni davvero apocalittiche: nel territorio milanese le vittime furono oltre cinquantamila, ottomila i morti nella sola città di Piacenza. Intere famiglie sterminate, cadaveri ovunque, il tanfo insopportabile della peste impregnava l’aria.

Come una bufera inarrestabile la peste investì anche le montagne di Bardi, portando con sé il suo triste bagaglio di terrore e desolazione.
La gente in preda al panico fuggiva dalle proprie case, abbandonandovi i cari ormai contagiati e per lo più moribondi e cercava di mettersi in salvo come poteva, rifugiandosi nelle campagne.

Anche Bartolomea Antoniazzi, la madre di Margherita, cadde presto ammalata.
Margherita decise di rimanere accanto alla madre fino alla fine, assistendola come poteva e coprendola di cure e tenerezze.
A quell’epoca la sorella di Margherita, Antonina, doveva essere già sposata e non viveva più a Costa; del fratello Luchino, invece, non si hanno notizie precise. I
n poco tempo Bartolomea fu ridotta in fin di vita. Vicino a lei, solo Margherita che tentava disperatamente di tenerla in vita.
Tutto però fu vano. Mamma Bartolomea si spense nel giro di pochi giorni, tra le braccia della figlia.
Margherita si trovò sola e ormai, anche lei contagiata dall’orribile flagello.

Ventidue anni, orfana e appestata: questo il ritratto di Margherita poco tempo dopo quel gioioso rientro a casa.
Tutto sembrava finito. Invece per lei, la vera vita doveva ancora cominciare.

Gaia Corrao


Pubblicato il 9 luglio 2019

Ascolta l'audio

Il razzismo ha sempre accompagnato le vicende dell’umanità.
Il tempo che siamo vivendo sembra far aumentare nelle persone sentimenti di diffidenza, pregiudizio, paura e odio.
La Scuola dovrebbe essere un momento di inclusione fra le differenze.
Su questo tema il prof. Riccardo Tonna, docente di religione dell’Itas “Raineri” di Piacenza, si è confrontato con Silvia e Fadel, originario della Costa d’Avorio, entrambi studenti dell’istituto. Il video è realizzato da Aldo Gariboldi.

Pubblicato l'8 aprile 2019

Ascolta l'audio