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Verso la festa della Devota della Costa / 3

Devota3Ai primi di agosto la Val Ceno, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza-Bobbio, è in festa per la Devota della Costa, al secolo Margherita Antoniazzi, serva di Dio, religiosa del ‘500, ancora oggi nel cuore della popolazione della sua terra.
Vogliamo preparare le celebrazioni ripercorrendo grazie a Gaia Corrao la sua vicenda umana. Ecco la terza puntata.

Di prodigio in prodigio

Una domenica finiti i vespri, Margherita stava come al solito chiedendo offerte e aiuti per la chiesa a questo e a quello, quando un gruppetto di persone particolarmente agguerrite cominciò a prendersi gioco di lei, mettendola in ridicolo davanti alla folla radunata sul piazzale.
Per tutta risposta e senza affatto scomporsi, la ragazza entrò in chiesa e prese due candele, dopodiché assicurò con voce ferma ma serena che ciò cui avrebbero assistito di lì a poco li avrebbe convinti una volta per tutte che non era una fanatica visionaria.
Gli sguardi di tutti erano fissi su di lei.
Incuriositi da quelle parole, la seguirono.
La giovane si incamminò verso un laghetto chiamato il Roggione, non lontano dalla Costa in direzione di Bardi. Ora quello specchio d’acqua era stretto ma profondo, tanto che una leggenda lo voleva senza fondo e nessuno osava bagnarvisi, tanto meno tentare di attraversarlo a nuoto, per paura di annegarvi dentro.
Giunti sulla riva del laghetto, Margherita accese le due candele.
La folla attorno la osservava sbigottita, ammirata dalla sua imperturbabile serenità.

A questo punto Margherita esclamò: “Ecco, io mi metterò dentro a questo lago e se coll’aiuto del Signore mi verrà fatto di passar all’altra sponda sott’acqua senza punto bagnarmi e senza che si spengano le candele, ciò vorrà essere segno che le cose dette da me intorno alla chiesa non me le sono cavate io di mio capo, man che le mi vennero ordinate dall’alto. Che se per lo contrario resterò vittima della mia temerità, farete di me quel conto che si fa di una pazza”.
Poi senza indugio, fattosi il segno della croce, le due candele in mano e i vestiti addosso, si immerse nelle acque del Roggione, che subito la inghiottì tra i suoi gorghi oscuri.
Quanti l’avevano seguita erano in preda al panico, presagendo la tragedia che si sarebbe consumata. Un brusio confuso si levava dalle sponde del lago. I presenti erano in ansia.

Finalmente ogni dubbio venne fugato e tutti tirarono un sospiro di sollievo, quando videro Margherita riemergere dall’acqua illesa, completamente asciutta e con le due candele accese ancora in mano.

Dinanzi a quell’inspiegabile prodigio, anche i più restii a crederle furono costretti ad arrendersi e la diffidenza di prima si mutò in ammirazione, il timore in entusiasmo. Tutti gridavano a gran voce e battendo le mani acclamavano Margherita, assicurando aiuti per la costruzione della chiesa, perché veramente gliel’aveva chiesta la Madonna.
Anzi, accadde sempre in quel fatidico giorno che un tale, Lusino da Geminiano, salito su un grosso masso per seguire meglio la scena, cadesse improvvisamente fratturandosi il ginocchio.
Giaceva ancora a terra tra i lamenti, incapace di rialzarsi in piedi, quando la Devota appena riemersa dall’acqua del Roggione, gli si avvicinò e tracciò un segno di croce sull’arto offeso. Subito la ferita sparì e Lusino poté tornare a casa saltando e danzando dalla gioia, lodando Iddio per tanta grazia.

I testimoni raccontano che da quel giorno nessuno si permise più di prendersi gioco di lei, perché evidentemente il Cielo stava dalla sua parte.
Cominciarono così a piovere abbondanti elemosine da ogni parte e Margherita si rallegrava che finalmente il desiderio della Madonna fosse prossimo alla realizzazione.

Tuttavia si sa, gli uomini dimenticano presto i segni e i prodigi e preferiscono agire di testa loro e così nuovi dissensi sorsero a proposito del luogo esatto dove la chiesa si sarebbe dovuta costruire, finché un giorno uno stormo di uccellini con pagliuzze e pezzettini di legno nei becchi, si precipitò in mezzo al frastuono dei lavoratori che si agitavano qua e là, lasciando cadere il materiale custodito nel becco proprio nel punto che aveva indicato Margherita come quello su cui la Vergine desiderava si costruisse la chiesa.
Anche questa volta, i dissenzienti si arresero e le fondamenta della chiesetta furono finalmente gettate.

Gli ultimi ostacoli

Ormai tutto era deciso: la chiesa si sarebbe costruita sul colle di Caberra, tra Costa e Cantiga.
Tutti gli abitanti di quelle zone erano finalmente d’accordo e lieti di collaborare come potevano alla realizzazione di un’opera in precedenza tanto osteggiata.
Con ardore e fervore i buoni popolani si misero tutti a disposizione, lavorando con lena notte e giorno.
Margherita si rallegrava nel vedere finalmente premiate la sua costanza e la sua fede. Era una gioia guardare tutta quella gente che lavorava insieme in pace.
C’era però da superare un ultimo, inatteso ostacolo.

Questa volta l’opposizione giunse dal rettore stesso di Costa, don Ludovico.
Come si accennava, il parroco di San Bartolomeo temeva che una nuova chiesa così vicina alla parrocchiale avrebbe diminuito le sue già precarie entrate, riducendolo in miseria.
Armato pertanto delle sue buone ragioni, si presentò al conte Agostino Landi, signore di Bardi e di tutto quel territorio, e a lui si appellò, con forti lamentele e rimostranze. Il conte dal canto suo non trovò del tutto infondati i reclami di don Ludovico e mandò a chiamare Margherita.

Giunta che fu la giovane al castello, le proibì seduta stante di procedere con i lavori per l’edificazione della chiesa.
Le permise di costruire eventualmente solo un piccolo oratorio.

Margherita si sentì certamente mancare: proprio ora che tutto procedeva così bene... Ma la fede non le venne meno e nemmeno il coraggio di ribattere al conte con grande fermezza pur senza mancargli di rispetto, che se egli non avesse cambiato idea nel giro di tre giorni, l’edificio sarebbe comunque sorto, ma sul Monte Lana, fuori dalla sua giurisdizione.
Colpito da quelle parole semplici ma ispirate il conte Agostino, che stimava molto Margherita, cambiò immediatamente idea.
Non solo le concesse di edificare la chiesa ove ritenesse più opportuno, ma anche le offrì parte del materiale necessario - gli stipiti della porta, legname, pietre - recuperato dalla fortezza di Pietra Cervara, da poco atterrata.
Le assicurò inoltre che mai più le avrebbe procurato impedimenti, “se nostro Signore vuol fare miracoli sui miei stati”.

Margherita se ne tornò a casa felice e sollevata, lieta che il Cielo avesse spalancato anche l’ultima porta che sembrava chiusa.
Ormai era certo. La chiesa si sarebbe fatta e accanto ad essa si sarebbe costruito anche un piccolo monastero, all’interno del quale lei già meditava di vivere per dedicarsi a Dio e agli altri attraverso la preghiera, magari in compagnia di qualche altra ragazza di buona volontà.

Durante i lavori emerse però un altro problema di non poco conto: la mancanza di acqua o almeno la difficoltà nell’approvvigionamento.
Dal momento che l’edificio era stato costruito sulla dura roccia, non c’era possibilità di scavare un pozzo. Questo inconveniente avrebbe costretto le monache del futuro monastero ad uscire sovente per attingere acqua altrove e ciò con un certo disagio.

Margherita propose di costruire una cisterna per supplire almeno ai bisogni più urgenti, ma si trovò tutti contro, perché dicevano, lì sotto c’era solo roccia e non sarebbe stato possibile trarre neanche una stilla d’acqua da quei massi.
Illuminata da qualche arcana ispirazione, la ragazza non si smosse e ribadì di volere il serbatoio proprio nel punto che indicava.
Vinti dall’insistenza di Margherita, i lavoratori sia pure a malincuore, si lasciarono convincere e tra un lamento e l’altro, procedettero alla costruzione del pozzo.

Ancora una volta la perseveranza di Margherita non deluse.
Appena il pozzo fu terminato infatti, con grande sorpresa di tutti, lo videro riempirsi d’acqua fresca e zampillante, che sembrava scaturire da una pura vena.
Da allora, questa misteriosa sorgente sotterranea non è mai venuta meno e a tutt’oggi la fonte continua a zampillare abbondante dal profondo seno della montagna.

Alla fine, dopo tanto penare, il desiderio della Vergine era stato esaudito.
La chiesa stava finalmente in piedi semplice e bella e al suo fianco, piccolo e umile, sorgeva il monastero.
La costanza di Margherita era stata premiata e quello che inizialmente era apparso ai più il sogno ingenuo di una visionaria, era finalmente diventato realtà.
La costruzione del complesso monastico ebbe inizio nel 1525 e fu presumibilmente ultimata nel 1531.
La chiesa dedicata alla Santissima Annunziata fu consacrata il 21 maggio 1533.

La piccola comunità monastica

Lo stesso giorno dell’inaugurazione della chiesa fu aperto anche il monastero, anch’esso dedicato all’Annunziata.
Conclusi i festeggiamenti, sempre in quel memorabile 21 maggio 1533 Margherita Antoniazzi diede l’addio a tutto e a tutti e prese dimora tra quelle mura, insieme alla sua prima compagna di vita consacrata, Catella Capiani, una ragazzina semplice e buona, che le fu sempre fedele discepola.

Dopo appena qualche settimana di vita monastica “a due”, bussarono alla porta del convento di Margherita alcune ragazze che chiedevano di essere ammesse a quella vita ritirata e penitente nel piccolo nido di pace e di preghiera da poco ultimato.
Margherita le accolse di buon grado, ma per provare l’autenticità delle singole vocazioni chiese loro le corone del Rosario e le appese ad un albero.
Quindi si raccolse in preghiera, chiedendo a Dio un segno che le rivelasse quali tra le ragazze erano animate da vero spirito di preghiera e quali invece, erano semplicemente infatuate all’idea di quello stile di vita silenzioso e nascosto agli occhi del mondo.

Data poi una leggera scossa al tronco osservò alcune corone cadere, altre rimanere appese all’albero: quelle erano le corone delle ragazze che avrebbero perseverato fino in fondo nel difficile cammino che stavano per intraprendere.

Tra i nomi delle monache che formarono la prima comunità di “Margheritine” ricordiamo quelli di Maria Bracchi, nipote di Margherita in quanto figlia di sua sorella Antonina, Domeneghina Ghioni, detta la Tornola, perché proveniente da Tornolo e a cui fu affidato l’incarico di cuoca e Angelina Antoniazzi.
Col tempo a questo primo gruppetto di monache se ne aggiunsero altre, ma il loro numero non superò mai la decina.

La piccola comunità non era guidata da una regola particolare, seguiva i consigli e gli esempi della fondatrice.
Margherita stessa era la loro regola.

Le religiose vestivano un saio lungo fino ai piedi, con una pazienza e il velo bianco.
Andavano tutte a piedi scalzi anche in inverno.
Emettevano i voti di povertà, castità e obbedienza e conducevano una vita penitente ed esemplare, praticando tutte le virtù cristiane e frequentissimi digiuni, come risulta dalle numerose ispezioni vescovili di cui fu oggetto il monastero.

Si tenga presente che in un tempo in cui la gente era abituata a mangiare non molto più che pane e acqua o al massimo a bere un bicchiere di vino, il fatto che le relazioni degli ispettori sottolineino in particolare il dato dei digiuni, significa certamente che le “Margheritine” rinunciavano spesso e volentieri anche a quel poco di cui all’epoca normalmente ci si nutriva.

Lavoro, preghiera, penitenza scandivano il ritmo delle giornate di queste fervorose consacrate.
Si alzavano di notte per pregare e la sveglia al mattino precedeva l’alba in modo da poter dedicare un lungo tempo alla preghiera, alla recita dell’ufficio divino e alla messa, prima di dedicarsi ai vari lavori.
Tutto si svolgeva in un clima di silenzio e meditazione.

Anche se non erano vincolate da stretta clausura, le suore potevano uscire dal convento solo occasionalmente e comunque ciò accadeva piuttosto di rado e sempre con il consenso della superiora e accompagnate.
Le uscite avvenivano solo per necessità del convento o per compiere qualche opera di carità verso il prossimo.

Fin dai primi anni di attività del monastero dell’Annunciata della Costa, le religiose si distinsero per lo spirito di preghiera e per la grande carità verso il prossimo, specialmente se povero e malato.
Era il carisma di Margherita, da sempre innamorata del Cielo e attentissima alle necessità dei fratelli, che si trasfondeva col passare del tempo nelle sue devote discepole.
Era l’inizio di una bella avventura sulle ali della Provvidenza, che avrebbe portato un piccolo gruppo di monache di montagna a sperimentare uno stile di vita nuovo e in un certo senso rivoluzionario, se paragonato al normale modo di vivere delle religiose dell’epoca.

Gaia Corrao


Pubblicato il 23 luglio 2019

Le puntate precedenti:
1 - Margherita, una religiosa nel cuore del Cinquecento
2 - Alla grotta della Rondinara

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Verso la festa della Devota della Costa / 2

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Ai primi di agosto la Val Ceno, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza-Bobbio, è in festa per la Devota della Costa, al secolo Margherita Antoniazzi, serva di Dio, religiosa del ‘500, ancora oggi nel cuore della popolazione della sua terra.
Vogliamo preparare le celebrazioni ripercorrendo grazie a Gaia Corrao la sua vicenda umana. Ecco la seconda puntata.

Lontana dal mondo

All’indomani della morte della madre, mentre il morbo della peste continuava ad infuriare per quelle terre, Margherita stanca e ammalata, forse per non infettare le persone vicine a lei o forse per non essere loro di peso, prese la sua storica decisione: voltare le spalle al mondo e rifugiarsi nella più assoluta solitudine.
Fu così che si ritirò in un luogo isolato e solitario a un paio di chilometri da Cantiga, non lontano dal fiume Ceno.
Un luogo aspro e deserto, poco accessibile e quasi impraticabile. Lì si trova a tutt’oggi una grotta situata sopra un precipizio, detta dalla gente del posto “della Rondinara”, perché scelta dalle rondini per farvi il nido.
Margherita fece di quel luogo buio e tetro la sua casa, adattandosi a vivere nelle due spelonche aperte nella roccia e comunicanti tra loro attraverso uno stretto passaggio.
Abbandonata da tutti, forse dimenticata dai più, quasi sepolta viva, la giovane si diede ad una vita di meditazione e penitenza.
Nonostante la peste continuasse ad affliggerla, Margherita insisteva fiduciosa nella preghiera di quel rosario che fin da bambina era stato il suo alleato principale nelle difficoltà della vita e la Vergine non mancò di confortarla con fenomeni mistici.

La giovane divideva le sue giornate tra lunghe ore di preghiera, interminabili digiuni, brevi riposi presi sulla dura roccia.
Alla fine la morte non l’ebbe vinta su di lei.

Benché a stento, Margherita riuscì a salvarsi e miracolosamente guarì. Ma a perenne memoria di quell’angosciante esperienza rimase claudicante per tutta la vita, perché l’inguine destro su cui si era manifestato il pestifero bubbone, rimase per sempre offeso.

Durante la permanenza alla Rondinara Margherita riceveva la visita non solo della Madonna, ma anche di San Rocco, protettore degli appestati, al quale era molto devota: fu proprio a lui che soprattutto attribuì la grazia della sua guarigione miracolosa.
Appena ebbe recuperate un po’ di forze, la giovane cominciò ad allontanarsi dalla grotta per recarsi in qualche chiesa e cappella a pregare non solo per sé, ma anche per la sua gente.
Vedeva infatti intorno a lei le conseguenze della peste e in molti casi il morbo ancora attivo, mietere vittime senza pietà.

Accadde un giorno un fatto straordinario.
Margherita si recava spesso a pregare nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo della Costa, dove la famiglia Antoniazzi aveva fatto erigere una cappella in onore della Madonna.
Quella volta la ragazza si trovava inginocchiata ai piedi di un quadro situato sopra l’altare, raffigurante la Vergine con Gesù Bambino in braccio.
Stava supplicando tra le lacrime per la cessazione della peste e impetrando misericordia per quelle popolazioni prostrate da tanto soffrire, quando improvvisamente l’effigie della Madonna cominciò a lacrimare abbondantemente, tanto che il pianto le rigava il volto fino sulle guance.
Diversi presenti, testimoni del prodigio, gridarono immediatamente al miracolo. I
l segno di quelle lacrime rimase visibile sul dipinto per circa un centinaio d’anni, cioè almeno fino al 1620, quando la cappella crollò.
Il prodigio accese nella popolazione una più viva devozione per quell’immagine della Vergine e guadagnò a Margherita una certa stima, aumentata anche dalla fama di guarigioni portentose operate per mezzo suo, che andava diffondendosi ogni giorno di più.

La potenza della preghiera

Nonostante le apparizioni sempre più frequenti tra la gente, Margherita continuava comunque a vivere alla Rondinara in quel rifugio che ormai le era divenuto caro.
Se ne allontanava oltre che per andare a pregare in chiesa, anche per visitare qualche ammalato. Aveva infatti preso l’abitudine di recarsi nelle case dei più sofferenti per assisterli, curarli, confortarli, pregare con loro.
Parecchie persone attribuirono la loro guarigione proprio alle fervide preghiere di Margherita.
Tra queste guarigioni miracolose, emblematica fu quella di un tale di nome Menino che abitava a Montereggio, nei pressi di Ca’ dei Ghinetti.

Colpito dalla peste lui e tutti i suoi familiari, Menino si dibatteva inutilmente sotto i colpi del morbo mortale.
Avendo sentito parlare dell’efficacia delle preghiere di Margherita, l’uomo la mandò a chiamare.
Margherita non esitò e corse al capezzale di Menino, ma giunta nei pressi della casa si sentì respingere dal puzzo rivoltante della peste che impregnava tutta l’aria e per poco non svenne.
Si fece tuttavia forza ed entrò nell’abitazione avvolta da quel tanfo di morte.

La tradizione vuole che varcata la soglia, al suo apparire in quei locali si diffondesse ovunque un soave profumo ma il prodigio non si limitò a questo.
Dopo una breve preghiera di Margherita infatti, Menino e i suoi familiari si sentirono subito meglio e si trovarono presto perfettamente guariti e illesi come se non avessero mai contratto la peste.

Colpiti e commossi da tanta misericordia da parte di Nostro Signore nei loro confronti, Menino e i suoi, pieni di gratitudine per Margherita che aveva accettato di pregare per loro, vollero ricompensarla della sua bontà e offrirono in segno di riconoscenza un’abbondante elemosina del valore di 40 scudi.
Margherita la utilizzò per sciogliere un voto che aveva fatto in precedenza a san Rocco al momento della sua guarigione e con quei soldi fece costruire una statua in legno con l’effigie del santo; statua che esiste ancora nella chiesa dell’Annunciata alla Costa.

Questi episodi rappresentano solo l’inizio di un’interminabile serie di stupefacenti prodigi e miracoli attribuiti alla preghiera della Devota della Costa.
I processi per la sua beatificazione, che rappresentano la fonte principale di informazioni sulla vita di Margherita, furono aperti diversi anni dopo la sua morte.
Non è perciò da escludere che contengano anche deposizioni enfatizzate dall’affetto e dalla tradizione orale.
Un fatto comunque è certo: tutti i testimoni concordano nel descrivere Margherita come una donna di grande amore verso gli altri. E le molte attestazioni di prodigi realizzati per la sua potente intercessione, se anche non fossero del tutto esatte nel riprodurre i fatti, rimangono comunque a conferma di quanto assicurava Gesù Cristo ai suoi discepoli, quando li incoraggiava dicendo che avrebbero fatto anche cose più grandi di Lui.

Margherita era una donna di preghiera; conosceva l’umiltà.
Non c’è da stupirsi se dinanzi a certi avvenimenti della vita della Devota della Costa si rimane a bocca aperta, come dinanzi a qualcosa di impossibile da realizzarsi.
Non dimentichiamo che ciò che è impossibile agli uomini, è sempre possibile a Dio.

A tu per tu con Maria

Quando finalmente la peste si allontanò da quelle terre martoriate, le persone ritornarono alle proprie case e la vita riprese a scorrere tranquilla.
Anche per Margherita il tempo alla grotta della Rondinara stava per finire.
Fu la Madonna stessa a suggerirle la missione per la quale l’aveva scelta e che avrebbe dovuto realizzare.

Tornò un giorno ad apparirle quella cara Vergine biancovestita, che le impose di lasciare il suo rifugio e recarsi sul Monte Lana “per farvi erigere al mio nome e in mio onore una chiesa”.
Margherita avrebbe preferito continuare la sua placida vita di sempre, in una lieta alternanza tra preghiera e carità, e tentò di schernirsi da quell’impegno che le pareva troppo gravoso per le sue forze e forse, a ben vedere, effettivamente lo era.
“Chi potrà mai credermi degna di tanto? - obiettò la ragazza - O dove troverò debole, rozza e poveretta qual sono i mezzi che bastino a sì grande opera?”.

Visto però che la Vergine non si curava delle sue obiezioni, si permise infine solo di chiedere che almeno detta chiesa si dovesse erigere al suo paese e non sul Monte Lana, supplicando la sua divina interlocutrice di rivolgersi ove possibile a qualcun altro e di lasciarla “nella mia oscurità e nel mio nulla”.
La Vergine acconsentì solo in parte alle richieste.
Si facesse pure la chiesa alla Costa, ma Margherita avrebbe dovuto assolutamente esserne la promotrice.
Poi si accomiatò con queste parole: “Non ti disanimi punto la tua pochezza e nullità, perché io sarò teco. Via dunque, mettiti all’opera. E ricordati che al mio divin figliuolo non si sono raccorciate le mani”.

Così Margherita, forte dell’incoraggiamento ricevuto dalla Madonna e rotto ogni indugio, lasciò finalmente la grotta della Rondinara e tornò tra la gente.
Si diede subito da fare, girando di casa in casa, di borgo in borgo, chiedendo elemosine, sensibilizzando le persone, implorando l’aiuto di tutti per la realizzazione di quella chiesa che la Vergine stessa aveva richiesta.

Com’era prevedibile le difficoltà non mancarono, sia da parte dei compaesani che la accusavano di essere esaltata da manie religiose, sia da parte del fratello Luchino, che le rimproverava certi atteggiamenti misticheggianti come un alibi per evitare il lavoro con il gregge e passare le giornate nell’ozio.
Forse Luchino aveva dimenticato che quando lui ancora giocava nel cortile di casa, Margherita trascorreva già lunghe giornate di lavoro a guardia di greggi non sue.

Persino il parroco della Costa, don Lodovico, non vedeva di buon occhio la costruzione di una chiesa a pochi passi dalla sua parrocchiale, temendo che “la concorrenza” gli avrebbe sottratto quel poco di elemosina su cui poteva contare all’epoca per vivere.

Accadde poi che in un giorno di festa, Luchino approfittasse della folla radunata davanti alla chiesa per sfogare a voce alta tutti i suoi malumori a proposito di Margherita, mettendola in cattiva luce e screditandola anche agli occhi di quei pochi che forse, ancora si fidavano di lei.
Terminato il poco edificante siparietto, Luchino riprese la via di casa ma mentre stava attraversando un prato si sentì improvvisamente bloccare e buttare per terra, così almeno riferisce un racconto popolare.
Per quanto si dimenasse, il giovane non riusciva a svincolarsi da quella morsa che lo immobilizzava, finché sopraggiunse Margherita che con la sola sua presenza lo sollevò da quell’imbarazzante situazione.
Finalmente Luchino si ricredette sul conto della sorella e si scusò tutto confuso e agitato per il suo comportamento.
Margherita lo perdonò senza obiettare e i due fecero ritorno insieme a casa, dove si sedettero a pranzare insieme, finalmente in pace.

In qualunque modo siano andate le cose, fatto sta che da quel giorno Luchino divenne non solo un collaboratore, ma addirittura un valido sostenitore di Margherita e fu sempre al suo fianco nella realizzazione dell’opera voluta dalla Vergine.

Insomma i conterranei di Margherita non le resero certo facile l’opera.
Incompresa e derisa dai più, accusata di essere una visionaria, tacciata di follia, la ragazza rimase impassibile nel suo proposito, ben sapendo che se veramente era desiderio del Cielo che quella chiesa venisse eretta, prima o poi quel desiderio si sarebbe realizzato.
A lei spettava il compito di pregare, fidarsi, perseverare.

Gaia Corrao

Pubblicato il 16 luglio 2019

Qui la 1ª puntata: Margherita, una religiosa nel cuore del Cinquecento

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