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Padre Andrea Dall’Asta a Nostra Signora di Lourdes: Caravaggio artista della verità

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Una analisi profonda e suggestiva è stata quella di padre Andrea Dall’Asta sulla tela di Caravaggio “La vocazione di San Matteo”, presentata il 17 gennaio, nella parrocchia di Nostra Signora di Lourdes a Piacenza.
L’incontro, inserito negli appuntamenti di formazione per gli adulti, ha visto la presenza di padre Dall’Asta, gesuita, direttore della Galleria e Museo San Fedele di Milano, docente alla Pontificia Facoltà teologica dell'Italia Meridionale di Napoli, scrittore e pubblicista.
Il momento di formazione per i parrocchiani di Nostra Sinora di Lourdes è stato pensato come un affiancamento al cammino di Santiago. “L’andare ci porta a fare esperienza - ha evidenziato il parroco don Giuseppe Lusignani - la fatica è un altro aspetto del cammino, e queste sono le due tematiche affrontate finora. Nel percorso poi bisogna fare delle scelte, prendere decisioni ed è quello che abbiano chiesto a padre Dall’Asta di raccontarci attraverso l’arte”. Il relatore infatti si è soffermato sul tema della vocazione di Matteo nel dipinto di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.

Una scena drammatica
“La pala della vocazione di Matteo è una scena altamente drammatica - ha sottolineato Dall’Asta - e si inserisce in uno spazio cupo e scuro. Nella parte sinistra, riuniti intorno ad un tavolo, ci sono i pubblicani, mentre nella parte destra entrano in scena Gesù e Pietro. Cristo, attraverso il suo gesto, chiama Matteo, il personaggio centrale, e questi, con la mano sul petto, sembra dire: “Ma proprio io?”, e Pietro con un cenno sembra ribadire: “Si proprio tu”. È una stupenda scena cinematografica, un dialogo a tre personaggi: Gesù, Matteo e Pietro”. Per il relatore, attraverso questa analisi del quadro, si scopre il momento della decisione e del discernimento.

Farsi contemporanei al mistero
L’altro aspetto del dipinto, spiegato dal gesuita, è rivolto a chi guarda la scena che è chiamato a lasciarsi coinvolgere. Citando Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, profondo conoscitore della potenza delle immagini, padre Dall’Asta ha ricordato come Ignazio invitava il fedele, che prega su un racconto evangelico, a ricostruirne la scena, entrando in essa, instaurando un dialogo con i personaggi, facendosi contemporaneo al mistero. In questo modo la distanza temporale tra presente e passato, viene soppressa e la visione di un’immagine significa sperimentare un momento di grazia che apre al desiderio di riconoscere il senso più profondo della vita.

La luce che emerge dal buio
“Caravaggio dipinge i personaggi dei suoi quadri dal vero - ha affermato il docente - e considera il proprio studio come se fosse una camera oscura in cui la luce illumina tutti i soggetti, attraverso un sistema di specchi. È geniale l’estetica di Caravaggio, artista della verità che, nella sua capacità di aderire al vero, suscita meraviglia e stupore. Il segreto di Caravaggio - per Dall’Asta - è quello di permettere alla luce di illuminare la sua tela e far emergere i personaggi che, a loro volta, emettono una luce. È qui che si entra nel cuore della dialettica chiaroscurale di Caravaggio. Per il pittore rinascimentale il buio fa da sfondo ad ogni quadro, ma la luce della grazia, della gloria di Dio entra nella vita dell’uomo. Siamo di fronte però - ha spiegato il relatore - ad una esistenza umana che è sempre: lotta, dramma, conflitto, luce e tenebre, dannazione e redenzione.
Il potente flash luminoso illumina i personaggi per poi ritirarsi e lasciare la scena nella semioscurità perché noi possiamo compiere la scelta fondamentale della vita, e comprendere la nostra decisione. Tutto ciò - per Dall’Asta - nella scena del dipinto di Caravaggio, è il senso della chiamata di Matteo: un venire alla luce e anche chi osserva si pone interrogativi per una scelta”. 

Riccardo Tonna

Nella foto, padre Dall'Asta durante il suo intervento in parrocchia a Nostra Signora di Lourdes.

Pubblicato il 19 gennaio 2023

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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