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S.Maria di Campagna, da chiesuola a basilica con le indulgenze di papa Urbano II

Pietro Coppelli Elena Montanari Roberto Tagliaferri

Com’è cambiata, nel tempo, Santa Maria di Campagna. Lo hanno spiegato Elena Montanari e Roberto Tagliaferri - presentati dal condirettore della Banca di Piacenza Pietro Coppelli - nel corso dell’incontro per “I Giovedì della Basilica” che si è tenuto giovedì 22 settembre nella Biblioteca del Convento, nell’ambito delle Celebrazioni dei 500 anni della chiesa di piazzale delle Crociate dove, nel marzo del 1095 - ha ricordato l’arch Montanari -, Papa Urbano II convocò il Concilio nel quale venne decisa la Prima Crociata. Le indulgenze concesse dal Pontefice diedero maggior impulso alla venerazione della Madonna di Campagna - statua risalente al secolo XIV che ancora oggi vediamo - custodita nella chiesuola di Santa Maria in Campagnola, costruita dopo l’anno Mille nel luogo di sepoltura dei primi martiri cristiani. «A un certo punto la piccola chiesa - ha continuato la relatrice - non era più in grado di contenere i fedeli della città e i pellegrini della Francigena. Fu così che il 27 dicembre del 1521 nacque la Fabbriceria per la costruzione di un tempio più grande che, come recita il rogito notarile stilato da Giovanni Francesco da Parma, doveva inglobare la prima Cappella».

Il 3 aprile del 1522 venne stipulata la convenzione con l’architetto piacentino Alessio Tramello e il 13 dello stesso mese ci fu la posa della prima pietra (di cui quest’anno si celebra appunto il cinquecentenario) alla presenza del vescovo Scaramuccia Trivulzio. Nel 1528 la fabbrica venne ultimata. L’arch. Montanari ha quindi citato la cronaca di Antonio Francesco da Villa che il 24 ottobre 1531 riferì del trasporto della statua della Madonna dalla chiesa vecchia a quella nuova: “Con gran solennità venne collocata nella nuova Cappella e il Papa Clemente VII concesse l’indulgenza plenaria”. Detta Cappella (che terminava dove è collocato l’altare consacrato nel 1794), affrescata dai fratelli Campi, andò distrutta nel 1791 con l’intervento di Lotario Tomba che sistemò il Coro e il Presbiterio allungando la planimetria della chiesa. Prima dell’intervento del Tomba l’antica chiesuola veniva utilizzata dai frati come coro ed era collegata alla Basilica da un andito (corridoio). «Secondo le testimonianze di metà ‘500 - ha sottolineato l’arch. Montanari - il Pozzo dei martiri era “situato al centro della nuova chiesa”. Da ciò si desume che il Tramello abbia demolito la zona absidale della vecchia chiesuola, andando così ad inglobare il pozzo e mantenendo il resto della primitiva struttura».

L’ing. Tagliaferri ha invece approfondito i motivi che indussero il Tramello a progettare la Basilica di Campagna a pianta centrale (detta anche con planimetria a croce greca): «Il rispetto di un’antica tradizione, che voleva i templi dedicati al culto mariano appunto a pianta centrale e la valenza civica della chiesa, costruita per volontà di un gruppo di nobili della città (le chiese a croce greca hanno una visione più legata alla presenza dell’uomo, mentre quelle a croce latina puntano sullo stretto rapporto tra il devoto e Dio)». Il relatore ha quindi mostrato le immagini di altri edifici religiosi aventi la stressa struttura a pianta centrale di Santa Maria di Campagna, accomunate dalla devozione per la Madonna: S. Maria della Steccata a Parma, S. Maria della Croce a Crema, S. Maria delle Carceri a Prato, S. Maria Incoronata a Lodi. L’ing. Tagliaferri ha concluso il suo intervento ricordando l’influenza del Bramante sul Tramello e le principali opere dell’architetto piacentino.

Nella foto, da sinistra, Pietro Coppelli, Elena Montanari e Roberto Tagliaferri.

Pubblicato il 23 settembre 2022

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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