Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Veano, la prigione dove i sorveglianti se la passavano peggio dei sorvegliati

Emanuele Galba e David Vannucci

«Che cosa mi spinge a compiere queste ricerche storiche? Il desiderio far emergere le esperienze di guerra dei campi di prigionia, poco raccontate, e far rivivere questi luoghi (nel Piacentino, Cortemaggiore, Montalbo, Rezzanello e Veano, ndr) che senza memoria rimangono muti». Così il ten. col. David Vannucci ha concluso la brillante presentazione della sua ultima fatica editoriale - Veano, la prigione della libertà (Edizioni Tip.Le.Co.), realizzata con il contributo della Banca di Piacenza e la collaborazione del Collegio Alberoni - avvenuta al PalabancaEventi davanti a un folto pubblico che ha riempito Sala Panini.
In dialogo con Emanuele Galba (da cui l’autore ha preso a prestito il titolo del libro, che il giornalista aveva utilizzato per un articolo della terza pagina di Libertà del primo agosto 1994, quando caporedattore era il compianto Ninino Leone), il col. Vannucci ha illustrato il contenuto del volume non prima di aver indirizzato un ringraziamento alla Banca per il sostegno e un pensiero a Corrado Sforza Fogliani («è anche grazie a lui se mi sono appassionato a queste ricerche»).
Le principali fonti per quest’ultima pubblicazione sono state l’Archivio storico dell’Opera Pia Alberoni, l’Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, l’Archivio del Comitato internazionale della Croce Rossa (Ginevra), l’Archivio di Stato di Piacenza, i report delle ispezioni dell’Ambasciata italiana in Svizzera e i vari racconti pubblicati dai prigionieri una volta tornati in patria.

Quello di Veano è stato l’ultimo campo di prigionia ad aprire nella nostra provincia (1 maggio 1942 con l’arrivo dei primi 15 ufficiali da Rezzanello e di 60 attendenti da altri campi). Villa Alberoni (residenza estiva dei seminaristi prima della requisizione) arrivò ad ospitare 268 tra ufficiali e attendenti britannici e dei domini imperiali inglesi su un’area di oltre 9mila metri quadrati: 2.450 di aree interne (160 vani tra camere, bagni e latrine; 102 vani accessori tra magazzini, locali di sgombero, guardaroba, dispensa, forno, cantina dei vini; 6 vani di grandi dimensioni (cucine, refettori, sala biliardo e cappella) e 6.800 di aree esterne (3 cortili e un ampio piazzale). Durante tutto il periodo comandarono il campo il ten. col. Enrico Poggiali (poco amato) e il col. Francesco Cornaggia Medici Castiglioni (più apprezzato).
«Nel campo si stava bene - ha spiegato l’autore - i pasti erano abbondanti grazie ai pacchi che la Croce Rossa faceva avere agli ufficiali prigionieri. Il problema principale era la noia, che veniva combattuta giocando a Monopoli, a basket, a volley, poker, ping pong, biliardo, bridge; con lezioni e conferenze, con letture attinte da una biblioteca ben fornita, con il cinema e con passeggiate concesse “sulla fiducia”.
Non mancavano le lamentele: per la carenza d’acqua, per la mancanza di pigiami, per arredi inadeguati. Teneva comunque compagnia agli ufficiali un pensiero fisso: quello della fuga». I tentativi di fuggire furono diversi. Epico quello attraverso il tunnel del mag. Evans lungo 14 metri che portò i fuggitivi fuori dal campo (poi tutti ricatturati, chi a 40 chilometri da Roma, chi prima di entrare in Svizzera, chi a Piacenza; il mag. Evans fu ripreso dopo 4 giorni a nord della capitale).

Con l’armistizio dell’8 settembre del 1943 iniziò la seconda parte della storia del campo p.g. 29: quella dell’evasione di massa agevolata (anzi, quasi co-condotta) dal comandante italiano di Veano col. Cornaggia Medici assieme all’SBO britannico col. Younghusband «e che è rimasta nell’immaginario collettivo locale e in tutta la Valnure - ha sottolineato il col. Vannucci - come un atto eroico divenuto poi leggenda». Un’evasione epica (10 settembre ’43) di quasi 300 uomini (organizzati in piccoli gruppi per non essere individuati e ricatturati) in direzione delle coline, con le truppe tedesche alle calcagna, anticipate davvero di pochissimo tempo nel loro intento di occupazione del campo e di cattura degli occupanti. La “prigione della libertà”, appunto, per gli ufficiali dei Paesi del Commonwealth ai quali in verità - come da testimonianze raccolte - non era andata poi così male: a Veano, infatti, i prigionieri stavano decisamente meglio delle loro guardie.

Nella foto, da sinistra Emanuele Galba e David Vannucci.

Pubblicato il 20 marzo 2025

Ascolta l'audio

Altri articoli...

  1. Anche Piacenza celebra la Giornata nazionale delle Università italiane
  2. Dal 25 marzo chiusura temporanea della Cupola del Guercino
  3. A Ivo Gilian «L’angil dal Dom» assegnato dalla Famiglia Piasinteina
  4. Università Cattolica, un premio di laurea in memoria della professoressa Aurelia Gasparini
  5. Rivivere la cultura ribelle: le foto di Cravedi raccontano gli anni irripetibili di Piacenza
  6. Lotta alle mafie, un compito di tutti
  7. Gyonata Bonvicini è il “respighiano” dell’anno
  8. «Veano, la prigione della libertà»: al PalabancaEventi si presenta il libro di Vannucci
  9. Bertuzzi, in Cattolica l'anima delle cose
  10. «L’amore non è possesso, nella coppia ognuno deve mantenere la propria indipendenza»
  11. Il decreto Salva Casa sotto la lente di Confedilizia: incontro al PalabancaEventi
  12. Il Conservatorio apre le porte: un’immersione nella vita dell’università musicale piacentina
  13. Piacenza importante centro strategico e militare
  14. «Il Deserto Orientale Egiziano. Le cave degli imperatori»: evento il 19 marzo
  15. Logistica a Piacenza: problema o opportunità?
  16. «L’anima delle cose»: in Cattolica le opere di Romano Bertuzzi
  17. L’esercito del Ducato di Parma e Piacenza: lunedì al PalabancaEventi si presenta il libro di Mario Zannoni
  18. Al via «I Giovedì della Bioetica». Il primo appuntamento il 13
  19. L’ex questore Ricifari: «A Lampedusa trovai un sistema fatiscente, nell’estate 2023 sbarcarono 107mila migranti»
  20. Quando nei ristoranti piacentini non si mangiavano né tortelli né pisarei

Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

    uslam


    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

    Ascolta l'audio

    Conteggio articoli:
    5

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente