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L’ex questore Ricifari: «A Lampedusa trovai un sistema fatiscente, nell’estate 2023 sbarcarono 107mila migranti»

recifari

“Sbarcai a Lampedusa in pantaloncini e maglietta, volevo vedere la situazione senza farmi riconoscere. Dopo aver letto i capitolati, mi misi accanto ai militari addetti alla sorveglianza. La coordinatrice di un’organizzazione non governativa arrivò due ore dopo l’orario previsto, accompagnata dal suo cane. Indossava orecchini, ciabatte, maglietta firmata, aveva con sé un asciugamano da spiaggia e un libro”. È il racconto di Emanuele Ricifari, che ricorda ciò che avvenne il 29 marzo 2023 quando, da neoquestore di Agrigento, arrivò sull’isola di Lampedusa per gestire gli sbarchi dei migranti. Oggi è dirigente superiore di pubblica sicurezza e lavora nello staff del capo della polizia a Roma.

La riorganizzazione dell’accoglienza a Lampedusa

“Non c’erano medici – dice l’ex questore – il molo era invaso da barili di carburante sequestrato, 27mila litri, si diceva che il campo non potesse ospitare più di 300 persone. Le prime cose che feci, insieme al prefetto Valerio Valenti (commissario all’emergenza migranti, nominato dal Governo, nda) furono cacciare tutti coloro che avevano avuto capacità gestionali, risolvere i contratti con cooperative e organizzazioni inadempienti, far liberare il molo e riorganizzare l’accoglienza. In quell’estate sbarcarono 107mila migranti e riuscimmo a gestirli tutti”. Ricifari, già in servizio alla questura di Piacenza dal 1990 al 2005, è intervenuto al corso di formazione “Cives” il 3 marzo all’Università Cattolica sul tema “Le migrazioni, tra verità e propaganda”.

“Chi doveva fare assistenza oziava”

“Il 13 marzo 2023 (all’epoca era questore a Caltanissetta, nda) fui convocato dal capo della polizia, Lamberto Giannini. Mi disse che quell’estate ci sarebbe stato un problema enorme con gli sbarchi e che gli serviva una persona capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo per riorganizzare il sistema dell’immigrazione. Così mi mandò ad Agrigento”. Nel corso del suo intervento a Piacenza, Ricifari ha mostrato alcune immagini che documentavano la situazione al suo arrivo a Lampedusa, caratterizzata da cumuli di rifiuti e altre condizioni di degrado. “Mi ferì profondamente constatare che coloro che dovevano fare assistenza in realtà oziavano o facevano affari. Andai a cercare il personale che mancava, trovai persone alla tavola di ristoranti di lusso. Usai i miei metodi e alla fine li convinsi a mettersi a lavorare. Era un sistema fatiscente, che si reggeva su cinque mediatori culturali e una ventina di poliziotti. Il 21 maggio arrivò la Croce Rossa con 70 operatori professionali e 70 volontari”.

Lampedusa, “Non è vero che ci fu invasione”

“Lampedusa è, di fatto, un pezzo d’Africa prestato all’Italia”, dice Ricifari. L’isola dista meno di 100 miglia nautiche da Sfax, il porto tunisino più vicino, e 118 da Porto Empedocle (Agrigento). “È un’isoletta piccola e semideserta – la descrive così l’ex questore – è lunga 7 chilometri e larga 3 chilometri”. D’inverno, gli abitanti sono circa 6mila, un numero che raddoppia col turismo nei mesi estivi. “I media parlavano di un’invasione, in realtà i migranti non escono dal campo perché non sanno dove andare, sono insicuri. L’informazione è polarizzata per ragioni commerciali”.

Dal Burkina Faso all’Italia

“Una donna mi fece vedere la situazione nel suo paese d’origine, il Burkina Faso, dove si consumavano violenze inaudite ad opera di gruppi, come Boko Haram. I russi finanziano tutti i gruppi affinché si scontrino tra loro – dice l’ex questore – così da potersi avventare sulle terre rare. Questa donna attraversò il Sahara, nove mesi per percorrere 7mila chilometri con mezzi di fortuna, subendo sfruttamenti di ogni genere, e alla fine arrivò sulla costa tunisina. L’uomo che la fece salire sulla barca, per lei, era il suo salvatore. Se c’è maltempo, servono 18-19 ore per arrivare a Lampedusa, se il mare è calmo bastano cinque ore di navigazione”.

Stato e ong: chi salva i migranti?

“Una volta arrivati a 4-5 miglia dall’isola – spiega Ricifari – i migranti vengono intercettati o dalle forze dell’ordine italiane o dalle organizzazioni umanitarie. Se viene intercettata da noi, una persona viene presa a bordo, visitata, e le viene messo un braccialetto identificativo con un codice. In un secondo momento, viene fotosegnalata e assegnatole un nome. Che non sempre è la sua vera identità, perché potrebbe aver dato false generalità, ma così da quel momento è identificabile in Europa. Nel campo, le viene dato da mangiare cinque volte al giorno. Discorso diverso se invece la barca viene trovata dalle ong: l’organizzazione chiede il porto dove far sbarcare i migranti, noi ne indichiamo uno che in quel momento può accogliere migranti. Se è lontano, le ong si lamentano dicendo che i migranti sono sfiniti. È un’assurdità. Per quelle persone, che hanno vissuto l’inferno in terra per nove mesi, non è un problema fare due ore in più di navigazione. E allora le ong spesso violano la prescrizione del porto sicuro, scaricano i migranti sul molo, e la loro barca viene sequestrata amministrativamente dalla Guardia costiera con una sanzione di 10mila euro”.

Un’estate “calda”

L’estate del 2023 fu caratterizzata da numerosi sbarchi, solo tra il 13 settembre e il 15 settembre, in 48 ore, approdarono sulle coste dell’isola di Lampedusa 16mila migranti. La media, nei tre mesi caldi, fu di 1.100 arrivi al giorno. “Di quei 16mila migranti, solo 37 furono prelevati dalle organizzazioni non governative (ong): la narrazione dice che li salvano tutti loro – osserva Ricifari – in realtà li prende in carico tutti lo Stato”.

Francesco Petronzio

Nella foto, Emanuele Ricifari.

Pubblicato il 5 marzo 2025

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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