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Notizie Varie

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Dazi, gli Usa sono il primo mercato di export per l’Emilia-Romagna

Commento dazi in Emilia

Un’azione forte del nostro governo in sede Ue che rafforzi l’integrazione europea e favorisca la costruzione di nuovi rapporti commerciali, contrastando invece l’istituzione di dazi che sarebbero solo dannosi per le singole economie. Da Bruxelles, dove si trova in missione per un nuovo incontro del Comitato europeo delle Regioni (CdR), l’assessore all’Agricoltura e ai Rapporti con l’Ue, Alessio Mammi, esprime forte preoccupazione sull’ipotesi dei dazi. Imposte che, spiega Mammi, “colpiscono senza una ragione oggettiva i prodotti di maggior qualità di Paesi che sono anche alleati a livello politico, economico e commerciale, causando conseguentemente un aumento dell’inflazione e ulteriori problemi per i redditi medi”. “In una parola - sottolinea Mammi -, frenano le economie. E per questo il nostro Governo non può continuare a essere inerte e silenzioso di fronte a questa prospettiva: deve lavorare in ambito Ue per costruire risposte adeguate, accelerare il rafforzamento dell’integrazione europea e la costruzione di rapporti commerciali anche con nuovi mercati”.

Il riferimento è in particolare al mercato americano, con cui l’Emilia-Romagna ha strettissimi rapporti commerciali. Nel 2024, infatti, quello degli Usa è diventato il primo mercato di destinazione dell’export di beni da parte delle imprese emiliano-romagnole, scavalcando per la prima volta la Germania, primo partner commerciale “storico” per la regione. Con circa 10,5 miliardi di euro di export di beni venduti sul mercato statunitense, l’Emilia-Romagna risulta la seconda regione su base nazionale, dopo la Lombardia (con 13,7 miliardi). Mammi ha inoltre partecipato nella sede del Parlamento a un incontro sul progetto di risoluzione urgente per il rafforzamento della dimensione territoriale del piano d’azione industriale per il settore automotive, la cui adozione è in programma domani. Successivamente, c’è stata l’adozione del progetto di bilancio 2026 del Comitato.

Pubblicato il 4 aprile 2025

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La Via Francigena «raccontata» alle persone con autismo

astra

Un opuscolo per permettere alle persone con disturbi dello spettro autistico di esplorare la Via Francigena. È il progetto di Astra Veicoli Industriali, sviluppato in collaborazione con l’Associazione nazionale genitori persone con autismo (Angsa) Piacenza, l’associazione La matita parlante e il Liceo artistico Cassinari, presentato nel pomeriggio di mercoledì 2 aprile nella sede di Astra, in via Caorsana a Piacenza, in occasione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo.

Opuscoli coi luoghi della Via Francigena

Gli opuscoli, realizzati in comunicazione aumentativa e alternativa (CAA), renderanno il percorso storico della Via Francigena accessibile anche alle persone con difficoltà di comunicazione. Gli opuscoli, che saranno distribuiti in formato cartaceo e digitale lungo le tappe piacentine della Via Francigena, utilizzano la CAA per favorire la comprensione dei testi dei pannelli informativi, contribuendo così a rendere l’ambiente del territorio piacentino più inclusivo. “Questo progetto – fa sapere Astra – ha come scopo la promozione dell’inclusione e della consapevolezza riguardo la neurodiversità nel territorio piacentino. La cerimonia rappresenta una tappa importante di una collaborazione che ha l'obiettivo di sensibilizzare la comunità locale, favorendo un maggiore rispetto e una migliore comprensione delle diversità cognitive e comunicative”.

Astra e Angsa, una serie di iniziative

Accanto a questo importante progetto, Astra ha deciso di intraprendere con Angsa Piacenza una serie di iniziative volte a creare un ambiente più inclusivo, sia in ambito scolastico che lavorativo. Le iniziative comprendono la stampa e distribuzione di materiale informativo nelle scuole, il supporto alla realizzazione incontri di formazione con psicologi e specialisti, e il sostegno a programmi di inclusione per persone con disturbi dello spettro autistico. Queste azioni mirano a sensibilizzare insegnanti, famiglie e studenti sulla neurodiversità, creando opportunità concrete di crescita e sviluppo per tutti.

12 famiglie seguite da Angsa a Piacenza

Alla presentazione, condotta da Rossella Altavilla (comunicazione ed eventi Astra), sono intervenuti l’ideatore dell’iniziativa Massimo Armellini, associato Angsa e dipendente Astra, Mario Dadati, assessore alle politiche educative e al benessere della persona del Comune di Piacenza, Manuel Ferrari, direttore dell’Ufficio beni culturali ecclesiastici della diocesi di Piacenza-Bobbio, Alessia Barbieri, responsabile della sostenibilità Astra, e Paola Rossi, volontaria dell’associazione La matita parlante. “Attualmente Angsa segue dodici famiglie a Piacenza – ha spiegato Armellini –: ci aiutiamo a vicenda, partecipiamo a eventi, facciamo informazione e quando possibile organizziamo raccolte fondi. A Piacenza l’associazione nasce nel 2016, abbiamo un filo diretto con Angsa nazionale, che ci permette di essere in contatto coi ministeri dell’istruzione, della sanità e delle disabilità. Siamo in costante contatto con la Federazione italiana autismo (Fia) che si occupa di migliorare le condizioni sociali e di ricerca: quest’ultima per noi è molto importante, le nuove scoperte sono all’ordine del giorno. Tanto lavoro è stato fatto, ma ce n’è tanto altro da fare”.

Una comunità che aiuta chi ne ha bisogno

“Ci rendiamo conto che il passaggio dall’ambiente scolastico a quello lavorativo è impegnativo – ha osservato Alessia Barbieri – come Astra, ci occupiamo di stampare e distribuire materiali nelle scuole di Piacenza, organizzare incontri di formazione nelle scuole e valutare tirocini formativi per persone con disturbi dello spettro autistico. Spero che l’iniziativa di oggi rappresenti l’inizio di un lungo percorso”. Paola Rossi ha sottolineato che “l’obiettivo dell’associazione La matita parlante è abituare i ragazzi al lavoro”. “Siamo un trampolino di lancio – ha detto – i ragazzi, partendo da un’attività all’interno dell’associazione, arrivano poi nelle aziende del territorio per svolgere mansioni simili”. L’assessore Mario Dadati ha evidenziato che “spesso Piacenza viene dipinta come fredda e ostile, ma quando si tratta di fragilità si scopre che la nostra è una comunità composta da reti che offrono sostegno e aiuto a chi ne ha bisogno. Ogni anno, nelle nostre scuole, registriamo un aumento del 10% delle certificazioni (di disabilità, nda): il nostro impegno, anche economico, per garantire i servizi sociali è sempre massimo”.

Via Francigena, un sistema storicamente inclusivo

“La cultura, quando non riesce a generare inclusione, ha fallito”, ha detto Manuel Ferrari. “Si è scelto di puntare sulla Via Francigena, che è un sistema storicamente inclusivo: era una grande autostrada che metteva in comunicazione popoli, culture e lingue diverse, e ci ha aiutato ad essere oggi Europa. Ogni volta che i pellegrini arrivavano dentro la nostra città, ed erano tantissimi, venivano accolti in maniera spontanea da tanti sistemi che la città pian piano ha generato intorno all’asse della Via Francigena. Era una società del «noi» e non dell’«io». La società piacentina era estremamente accogliente”. Il progetto, ha ricordato, “sarà pubblicato sui siti web di tutte le realtà coinvolte. Il prossimo passo sarà inserire un qr code in prossimità di chiese e musei che consentirà di entrare nel portale, in cui ci sarà anche la guida”.

L’appello

Al termine dell’incontro, Massimo Armellini ha voluto lanciare un appello personale: “Alle ragazze e ai ragazzi che devono scegliere il loro percorso universitario: se ve lo sentite dentro, valutate la possibilità di diventare educatori professionali, dareste un grande vantaggio alle famiglie”.

Francesco Petronzio

Nella foto, la presentazione del progetto.

Pubblicato il 3 aprile 2025

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In un anno il gioco d’azzardo si mangia 110 milioni di euro dei piacentini

Gioco dazzardo Ausl dati

Nel 2023, nella provincia di Piacenza, sono stati puntati sul gioco d’azzardo circa 630 milioni di euro, con una perdita di 110 milioni. Questo dato è in linea con il trend di crescita rilevato a livello regionale, dove nello stesso periodo sono stati giocati oltre 9 miliardi e mezzo di euro, con una perdita di circa un miliardo e mezzo. Il disturbo da gioco d’azzardo è una dipendenza in crescita e in evoluzione, una patologia sempre più diffusa che colpisce non solo la persona, ma l'intero nucleo familiare, con conseguenze economiche, sociali e di salute fisica e psicologica.

IL QUADRO DI PIACENZA

Lo scorso anno, l’Ausl, attraverso il Percorso diagnostico terapeutico assistenziale per il disturbo da gioco d'azzardo, guidato da Maurizio Avanzi, ha preso in carico 165 pazienti, di cui 141 uomini e 24 donne. Queste persone hanno chiesto aiuto, riconoscendo il problema e scegliendo di trovare una soluzione. Tuttavia, rappresentano solo una piccola parte di una realtà molto più ampia: la punta di un iceberg, con un sommerso ben più vasto, sia in termini di persone malate che non cercano aiuto, sia di familiari e amici coinvolti. Far emergere questo sommerso è il cuore del progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e realizzato in co-progettazione tra Ausl di Piacenza, Fondazione La Ricerca e la cooperativa L’Arco, impegnati nella lotta contro una problematica che affligge sempre più la nostra comunità.
Il progetto è stato presentato dal direttore delle Attività socio-sanitarie Eleonora Corsalini affiancata dai direttori di distretto Anna Maria Andena, Evelina Cattadori e Giuseppe Magistrali e Maurizio Avanzi, responsabile del percorso diagnostico terapeutico assistenziale per il disturbo da gioco d'azzardo, con Enrico Corti, presidente Fondazione La Ricerca, Fausta Fagnoni, responsabile di progetto Iceberg e Stefano Sandalo, direttore della cooperativa L'Arco.
“Il disturbo da gioco d'azzardo è stato incluso nei Livelli essenziali di assistenza nel 2017, riconoscendo ufficialmente la sua rilevanza sanitaria e sociale - ha sottolineato il direttore delle Attività socio-sanitarie Corsalini - Piacenza è stata una tra le prime realtà in Regione a dotarsi di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale già nel 2018 coordinato dal dottor Avanzi. Siamo pertanto molto sensibili e attenti al tema che affrontiamo con un sistema di rete con Terzo settore e associazioni per supportare sia i malati, sia i famigliari e amici che subiscono le conseguenze del gioco d’azzardo passivo”.
“L’Azienda Usl di Piacenza è articolata con tre ambulatori dedicati dislogati a Piacenza, Borgonovo e Cortemaggiore – ha aggiunto il dottor Avanzi – che  ci forniscono un punto di vista privilegiato rispetto al disturbo da gioco d’azzardo in tutte le sue forme. Nel 2024, come detto, l'Azienda Usl di Piacenza, ha preso in carico 165 pazienti, il 70% di questi casi è legato all'uso di slot machine, ma si registra una crescita costante nel gioco d’azzardo online. La pandemia di Covid-19 nel 2020 – 2021 ha, infatti, ne ha modificato le dinamiche, spingendo molti verso le piattaforme online, aumentando sia il tempo dedicato, poiché è a disposizione 24 ore su 24, sia la diversificazione del pubblico coinvolto con pochissimo o nessun limite nell’investimento del denaro. Negli anni la percentuale di persone che hanno chiesto aiuto per questa problematica è passata dal 4% del complesso delle persone prese in carico dall’Ausl nel 2020, al 16% nel 2022, fino al 20% nel 2023. Su questo fronte è utile segnalare che on line è facile trovare un filmato di autoesclusione dal gioco d’azzardo online che può essere un supporto per chi vive questo problema”.

IL PROGETTO ICEBERG

Un malato, però, non è mai solo. Dietro di lui si snodano rapporti familiari e di amicizia che vengono pesantemente colpiti. Proprio alla rete familiare della persona malata si rivolge il progetto Iceberg presentato nei suoi dettagli da Enrico Corti, presidente Fondazione La Ricerca, Fausta Fagnoni, responsabile di progetto Iceberg e Stefano Sandalo, direttore della cooperativa L'Arco. “Il nome Iceberg, scelto da un gruppo di cittadini e volontari, riflette la natura nascosta e insidiosa del gioco d'azzardo patologico – ha evidenziato Corti - Come un iceberg, il fenomeno mostra solo una piccola parte visibile, mentre la maggior parte dei danni rimane sommersa, causando gravi problemi personali, familiari e sociali. Il gioco d'azzardo, infatti, compromette il funzionamento psicologico, le relazioni familiari, la capacità economica, l'attività lavorativa e le relazioni amicali delle persone coinvolte. Per questo siamo profondamente convinti che servano azioni concrete anche da parte della politica per monitorare e arginare i danni che ne derivano”. Al direttore de L’Arco è spettato entrare nel dettaglio del progetto a partire dai in diversi ambiti di intervento in cui si articola. “Spazi ascolto, tutor dell’indebitamento, sensibilizzazione della comunità, percorsi formativi per operatori sociali, sanitari, educatori e insegnanti, interventi nelle scuole. Oltre alla presa in carico dei familiari, il senso del progetto Iceberg si sviluppa nelle azioni di sensibilizzazione della cittadinanza, delle associazioni, degli enti e istituzioni del territorio con l’obiettivo di far conoscere il fenomeno Gap, ovvero gioco d’azzardo patologico, e i rischi collegati e svilupparne la consapevolezza. In questi giorni, inoltre, è partita la campagna di sensibilizzazione "La pulce nell'orecchio", che utilizza l'immagine di una pulce per instillare il dubbio di fronte a comportamenti a rischio legati al gioco d'azzardo. La campagna fornisce numeri di telefono e contatti email a cui rivolgersi per chiedere aiuto. L'illustrazione della pulce è stata realizzata dall'illustratrice piacentina Alessandra Santelli”.

UNA PATOLOGIA DA AFFRONTARE INSIEME

Il gioco d'azzardo patologico rappresenta una minaccia significativa per il benessere della nostra comunità. Si può giocare facilmente quasi ovunque, la possibilità di giocare online è alla portata di tutti, anche dei più giovani, e vengono via via meno le norme che stabilivano le distanze di sicurezza delle sale da gioco dai centri abitati e altro ancora. Da qui l’urgenza di continuare a lavorare con le famiglie, con i ragazzi, con il territorio, dando informazioni corrette, rendendo evidenti le conseguenze della dipendenza e creando reti competenti e solidali in grado di aiutare chi è vittima di questa situazione. Con il progetto Iceberg, ci impegniamo a sensibilizzare, informare e supportare chi ne è affetto, lavorando insieme per costruire un futuro più sicuro e consapevole.

L’ÉQUIPE DI ICEBERG

Iceberg si basa su un’équipe dedicata di professionisti - psicologi, educatori, assistenti sociali - che in questi anni hanno approfondito il tema del gioco e appreso strumenti specifici per l’approccio e la presa in carico dei familiari dei giocatori come il metodo “5 Step”. Alcuni operatori de La Ricerca e dell’Arco hanno seguito il Training 5 step method (M5S) tenuto da Gill e Richard Velleman, docenti all’Università di Bath e fondatori di AFInet (Addiction and the family international network) per l’approccio e la presa in carico dei familiari dei giocatori. Segnaliamo, inoltre, la collaborazione pluriennale con l’associazione And (azzardo e nuove dipendenze), in particolare con Daniela Capitanucci e Roberta Smaniotto, e la formazione con Joel Tremblay (docente all’Université du Québec) sul metodo Icy-Pg (Integrative couple treatment for pathological gambling), utile in particolare per la terapia di coppia

Pubblicato il 2 aprile 2025

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Lucchini (Servi Inutili): «il servizio deve essere gratuito». Incontro a Bedonia

lucchini 

“I Servi Inutili del Buon Pastore” è un movimento ecclesiale approvato definitivamente dalla diocesi di Assisi nel 2015 e fondato dal diacono Luca Lucchini. Quella de “I Servi Inutili” è una realtà in crescita e c’è un legame radicato tra questa realtà e la diocesi piacentina – bobbiese, che porta “I Servi Inutili” a riunirsi il 4, 5 e 6 aprile a Bedonia, per vivere il consueto ritiro di formazione. Questo legame parte proprio dal fondatore Lucchini e dalla sua storia familiare nonché dalla presenza di affiliati al movimento nel nord Italia. Lo abbiamo intervistato.

 “Servi Inutili” è una chiara citazione evangelica. Perché questo nome?

Sì, il nome è preso da un passo del vangelo di Luca. Spesso c’è o sembra che ci sia un rivaleggiare tra i vari carismi, che non deve esserci dato il comune cammino di perfezione cristiana che tutti dovremmo cercare di compiere; da qui il nome «in-utile», che non ha una valenza negativa ma che rimanda all’assoluta gratuità del servizio, e che lo stesso Francesco d’Assisi, che per noi è una guida fondamentale, ha utilizzato nella Regola non bollata, come anche San Pio di Pietrelcina.

Ecco, Padre Pio ha un ruolo primario anche in quel pezzo della sua famiglia che la lega a Bedonia. Come?

 Mio nonno materno, Vittorio Parmigiani, proveniva dalla zona di Bedonia e nel 1948 si ammalò gravemente. Quando le speranze erano poche egli conobbe San Pio, che lo guarì miracolosamente, donandogli ancora cinquant’anni di vita nonostante il brutto male che lo aveva colpito. Da quel momento mio nonno e la mia famiglia intrecciarono con Padre Pio un rapporto di profonda amicizia; anche io ebbi la grazia di conoscere personalmente il Santo durante la mia infanzia: mi ricordo quando da bambino giocavo con la sua lunga barba!

Il movimento che lei ha fondato compie sedici anni. Quale carisma lo accompagna e qual è la situazione attuale?

Il movimento è stato fondato, appunto, nel 2009 ed è stato approvato definitivamente dal vescovo di Assisi dieci anni fa. Quello che ci caratterizza è il fine di vivere una piena e consapevole appartenenza alla Chiesa cattolica come «colonna e sostegno della verità», come scrive anche San Paolo nella lettera a Timoteo: questo si traduce anche nell’obbedienza al Papa e ai Vescovi e attraverso lo studio e l’approfondimento del Magistero ecclesiale. Attualmente il nostro movimento è diffuso in varie diocesi italiane e in America Latina, in particolare a Buenos Aires e a Bogotà e anche nell’Asia, a Chanthaburi in Thailandia. Il movimento vive un incontro mensile di preghiera e di Adorazione Eucaristica e due incontri comunitari, uno in ottobre e un ritiro di formazione in primavera, che vivremo a Bedonia.

La santità è un'esperienza per tutti

Per il ritiro di Bedonia il movimento ha scelto di inserire come testimonianza la vita di don Giuseppe Beotti. Perché raccontare la sua santità?

Da sempre nei nostri ritiri poniamo in luce un esempio di santità contemporanea e quest’anno abbiamo scelto il beato Beotti perché ha vissuto nelle zone dell’appennino attorno a Bedonia e perché la sua testimonianza offre davvero uno sguardo sulla santità. Il messaggio che vogliamo trasmettere è quello che la santità è un’esperienza per tutti. Desideriamo, per questo, mostrare persone con storie di vita ed esperienze di Fede diverse e plurali ma che hanno raggiunto la Santità, così da farci ragionare sulle infinite vie in cui opera il Signore e rendendo chiaro che essere santi, vivere una vita di pienezza cristiana non è per pochi eletti ma può essere per ciascuno di noi.

Francesco Archilli

 Nella foto, il diacono Lucchini.

Pubblicato il 2 aprile 2025

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Oncologia, Cipomo a Piacenza spinge per l’umanizzazione delle cure

cipo

L’umanizzazione delle cure fa tanto bene ai pazienti quanto ai medici. Se infatti da un lato può migliorare l’aderenza ai trattamenti, nonché alleviare il dolore fisico e psichico di chi è in cura, dall’altro lato aiuta i medici a proteggersi dal burnout, contrastando lo stress e la frustrazione. Senza contare i benefici per una relazione medico-paziente e per un più generale rapporto tra operatori sanitari e utenti che, negli ultimi anni, è diventato sempre più difficile e complesso, fino a generare in alcuni casi episodi di aggressione, balzati agli onori della cronaca. Tutto questo parte da Piacenza, città dove il Collegio dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo) ha deciso di fondare la prima scuola italiana di “Humanities in Oncology”, tesa a creare una connessione tra l’oncologia, le scienze umane applicate in medicina e l’addestramento alla comunicazione.
La scuola avviata a Piacenza, per la seconda serie di lezioni, grazie anche al sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Alla luce del gradimento rilevato e dei risultati emersi al termine della prima edizione pilota 2024 a cui hanno partecipato 21 oncologi rappresentativi delle diverse realtà regionali del Paese - afferma Luisa Fioretto, presidente Cipomo, socio fondatore della scuola, direttore del Dipartimento Oncologico dell’Azienda Sanitaria Toscana Centro –. siamo ancora più convinti di proseguire con la seconda edizione lungo la strada intrapresa. Nell’ambito dell’ampio tema dell’umanizzazione delle cure, tema ricorrente e sempre più attuale, la nostra scuola intende fornire un concreto contributo al passaggio da una concezione del malato come mero portatore di una patologia ad una concezione del malato come persona, con i suoi sentimenti, le sue conoscenze, le sue convinzioni rispetto al proprio stato di salute”.   
In questo contesto, imparare a umanizzare le cure è fondamentale non solo per il paziente, ma anche per il medico, che può così ridurre lo stress e il rischio di burnout. “Si tratta di un approccio all’oncologia, e alla medicina in generale, che può avere grandi vantaggi anche per il medico che impara ad adottarlo e a farlo proprio - racconta Luigi Cavanna, past president Cipomo e socio fondatore della scuola -. Umanizzare le cure, infatti, non è una dote innata ma è frutto di specifici percorsi formativi, tuttavia, in Italia, la formazione in questo ambito è ancora carente”. “Una lacuna a cui la nostra scuola vuole porre rimedio – prosegue Alberto Scanni, presidente emerito Cipomo e socio fondatore della scuola –. Il suo obiettivo è infatti quello di favorire l’apprendimento degli oncologi di quell’insieme di competenze comunicative, relazionali e umane necessarie nella professione. Sono competenze che restano spesso al di fuori dei normali percorsi formativi universitari e post-universitari”.

La scuola di Cipomo

La Scuola di Cipomo integra due ambiti solitamente distinti nella formazione sanitaria: le Medical Humanities e la Comunicazione in Oncologia. Inoltre, presenta una formazione esperienziale in cui non ci si limita a trasferire competenze o tecniche, ma si vuole allenare la capacità degli oncologi a monitorare e gestire la relazione con pazienti, familiari e colleghi. “La comprensione dell'assetto motivazionale con cui oncologo e paziente affrontano le loro interazioni plasma la loro possibilità di collaborare e perseguire obiettivi comuni – dichiara nella sua introduzione alle lezioni Fabio Monticelli, psichiatra e psicoterapeuta, presidente della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (Sitcc) –. Se il medico riesce a cogliere la motivazione di bisogno di protezione del paziente in tempo reale (tralasciando modalità a volte difensive) sarà in grado di rispondere in prima battuta alla ricerca di cura”. Con benefici anche per l’oncologo, una professione a elevato rischio burnout. “Burnout che spesso viene definito come una sorta di ‘compassion fatigue’, ovvero di affaticamento cronico da troppa compassione. In questo corso – precisa Simone Cheli, psicologo psicoterapeuta, professore della St. John's University e responsabile della progettazione didattica della scuola Cipomo – proponiamo una lettura alternativa: la compassione è per gli oncologi un antidoto al burnout nella misura in cui bilancia la presa di cura del paziente, con la presa di cura di se stessi e con un team in grado di supportarli”. “In un’ottica di formazione continua - conclude Fioretto - la Scuola è una vera e propria palestra per gli oncologi. Qui imparano e allenano competenze che vanno oltre quelle scientifiche, come la disponibilità all’ascolto, la capacità di comprendere il punto di vista soggettivo del paziente e di costruire insieme a lui un percorso nel rispetto dei suoi bisogni e della sua unicità, così come la capacità di creare insieme ai propri colleghi una rete costruttiva ed efficace di lavoro su cui il paziente possa contare”.

Pubblicato il 2 aprile 2025

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