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Prof.ssa Barabaschi: «Denatalità? Un problema economico e sociale»

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“La natalità quale pilastro della sostenibilità economico-sociale”, questo il titolo dell'ultima iniziativa promossa dai Convegni di cultura “Beata Maria Cristina di Savoia”, tenutasi lo scorso 16 maggio presso la Sala delle colonne del Palazzo vescovile di Piacenza. Condotto dalla professoressa Barbara Barabaschi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e incentrato sul problema della denatalità e sulle cause della grave crisi demografica che affligge l’Europa e l'Italia di oggi, l'incontro ha concluso il ciclo di appuntamenti organizzati dal Movimento cattolico Femminile piacentino e nazionale per l'anno 2024 – 2025.
Dopo la visione cristiana dei valori della vita e della maternità, illustrata in primo luogo alla luce della Bibbia dall'assistente spirituale del Convegno mons. Celso Dosi e in seguito sulla scia del messaggio evangelico per una civiltà dell’amore e della pace dal medico eticista Chiara Mantovani, questa volta la professoressa Barabaschi ha fornito un'analisi economico-sociale attinente alla nostra parte di mondo. Docente di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” presso le Facoltà di Economia e di Giurisprudenza dell’Università Cattolica piacentina, l'esperta ha quindi mostrato, attraverso dati quantitativi statistici aggiornati, ragioni ed effetti dell’attuale crisi demografica, con particolare riferimento al nostro Paese e al confronto con alcuni stati europei: tra cui soprattutto Francia e Svezia.

L'analisi

Chiarito il concetto di sostenibilità economica e sociale quale la capacità di un sistema di generare reddito e benessere delle persone in modo equo e duraturo senza compromettere risorse e prosperita delle generazioni future, la relatrice ha poi evidenziato gli elementi alla base dell'insostenibilità sociale italiana in relazione agli attuali trend demografici.“Da una parte – ha detto – bisogna considerare l'incremento della speranza di vita e l’aumento dei neo-cittadini italiani; dall’altra, e per contro, si assiste ad un calo della natalità con famiglie sempre più ristrette e al boom di emigrati giovani per l’estero. In più tra le cause della denatalità bisogna considerare anche i cambiamenti comportamentali dovuti all’individualismo e al consumo edonistico, oltre alle ben note contingenze economiche:precarietà lavorativa , difficoltà di accesso al credito e ad un’abitazione, età avanzata della donna alla nascita de primo figlio. La cultura secolarizzata, l'abdicazione a considerare la vita umana come dono di Dio e la perdita di fiducia nel futuro contribuiscono senza dubbio a indebolire il senso di responsabilità e la disposizione alla generatività”.

Difficile comunque rigenerare la società senza un sostegno economico concreto della maternità – sottolinea - . La sostenibilità economica e quella sociale sono fenomeni strettamente collegati, l’una impatta sull’altra. L'aumento di disponibilità di lavoro per le donne ad esempio da una parte segna un progresso nella società e nell’economia, ma dall’altra comporta la necessità di servizi sostitutivi per la cura della famiglia. Pilastro per la sostenibilità economica e il ricambio generazionale sono i giovani, che servono ma non ci sono: sia per il calo progressivo della natalità, sempre più vistoso negli ultimi decenni, sia per il fenomeno più recente del boom dell’espatrio. In prospettiva futura il minor numero di figli nati oggi comporterà un minor numero di genitori domani. Con l'aumento della speranza di vita, a fronte dell’invecchiamento sociale aumenterà la responsabilità dei pochi giovani, costretti a farsi carico di due anziani ciascuno : nelle previsioni riferite agli anni 2016 - 2070 risulta superato il tradizionale modello di Enea con il solo padre sulle spalle. Tra le conseguenze più allarmanti di questa tendenza c’è il rischio di povertà economica per le madri con più figli, o perché inattive, cioè fuori dai circuiti lavorativi, o perché la scelta del part-time comporterà inadeguatezze del trattamento pensionistico a fronte dell'invecchiamento. E questo ci dice perché, in Italia soprattutto, è difficile fare figli. Lo Stato da solo non ha d'altra parte le possibilità economiche per sopperire a questi bisogni e provvede solamamente a chi lavora. Per far crescere la popolazione fa ora appello all’aumento dei neo cittadini italiani, ma le famiglie sono sempre più ristrette anche tra gli stranieri”.

“Gli incentivi economici e gli assegni familiari, bonus bebè e assegni familiari integrativi per i nuclei a basso reddito, sono insufficienti a fronte dell’aumento del costo della vita – ha osservato l'esperta - ; il congedo di paternità obbligatorio retribuito favorisce la cura partecipata del neonato, ma non basta. In definitiva le misure politiche italiane a supporto della maternità e della natalità valgono ancora poco e non sono certo sufficienti ad invertire la rotta. Per ora in Italia continua a reggere la tenuta della famiglia, che conserva il suo ruolo di fulcro all'interno della società, di agenzia di socializzazione, come la definiscono i sociologi. Nonostante il sovraccarico funzionale che la investe e malgrado le sempre più marcate trasformazioni socio – culturali (matrimonio in età avanzata, divorzi, coppie non sposate, famiglie monoparentali, aumento dei single), è ancora la famiglia a sopperire alle mancanze dello Stato. Lo fa con un suo welfare basato sui valori etici tradizionali e sulla collaborazione di coppia, secondo il modello di condivisione dei ruoli nella conduzione delle attività domestiche. Prezioso il contributo dei nonni al sostegno economico delle giovani coppie e alla custodia affettivo-educativa dei nipoti. Ma fino a quando potrà essere così? È un interrogativo da porsi, a cui urge rispondere con misure concrete adeguate prima che sia troppo tardi.

Micaela Ghisoni

Pubblicato il 3 giugno 2025

Nella foto, l'intervento della professoressa Barbara Barabaschi.

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Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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