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Fernando Manzotti e il vescovo Scalabrini: due modi originali di studiare l’emigrazione

Danilo Anelli Sandro Rogari Andrea Manzotti padre Mario Toffari

 

«L’emigrazione non è guerra tra popoli, è unità del genere umano». Con questa frase - che ben riassume il pensiero del vescovo Scalabrini - padre Mario Toffari ha concluso il convegno “L’emigrazione nell’Italia unita” che si è tenuto al PalabancaEventi (Sala Panini), promosso dall’Associazione Piacenza Città Primogenita d’Italia in collaborazione con la Banca Piacenza (rappresentata dal presidente Giuseppe Nenna, dal vicepresidente Domenico Capra, dal direttore generale e a.d. Angelo Antoniazzi, dal vicedirettore generale Pietro Boselli) e con il patrocinio della Fondazione Spadolini Nuova Antologia.

Andrea Manzotti, presidente del Patronato pei Figli del Popolo e Fondazione San Paolo e San Geminiano di Modena, che ha moderato l’incontro, ha in primo luogo ringraziato l’Istituto di credito di via Mazzini («squisita la sua vocazione di banca del territorio molto attenta alla cultura») per l’accoglienza e il supporto, l’Associazione Piacenza Primogenita, rappresentata dal presidente Danilo Anelli (che ha portato un saluto) e da Maria Antonietta De Micheli e la Fondazione Spadolini (in collegamento è intervenuto per un saluto il suo presidente Cosimo Ceccuti). Il moderatore ha quindi ricordato la figura del padre Fernando Manzotti (Correggio, 1923 – Reggio Emilia, 1970), argomento della prima relazione, insegnante di Storia e filosofia nella scuole superiori e poi docente universitario di Storia del Risorgimento, Storia moderna e Storia dei partiti e dei movimenti politici. I suoi lavori maggiori riguardano La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita (1962 e 1969) e Il socialismo riformista in Italia (1965). Collaborò con saggi e recensioni a varie riviste (“Nuova rivista storica”, “Il Mulino”, “Il Ponte”, “Nuova Antologia”) e alla stampa quotidiana (Il Resto del Carlino e, dal 1968, il Corriere della sera) e strinse un sodalizio culturale con Giovanni Spadolini. Il figlio Andrea ha anche raccontato la genesi di questo appuntamento «nato da un’idea di Corrado Sforza Fogliani, a cui mandai gli atti di un convegno dedicato a mio padre a 40 anni dalla morte. Lui questo volume lo recensì su Bancaflash e mi colpì la sua abilità nel trovare agganci piacentini: il primo, il legame di parentela con i Manzotti fotografi storici a Piacenza (Gino, Eugenio ed Erminio) e il secondo il vescovo Scalabrini per il tema delle migrazioni, religioso che non a caso è il protagonista della seconda relazione di questo convegno».

Sandro Rogari, docente di Storia contemporanea all’Università di Firenze, ha fatto cenno all’incontro con Fernando Manzotti nel 1969, «tanto breve quanto intenso, io studente e lui giovane professore chiamato a Firenze da Spadolini; purtroppo morì l’anno successivo». Il prof. Rogari ha quindi distinto il contesto nel quale il prof. Manzotti scrisse il libro sull’emigrazione («fine anni ’50, quando era in atto la grande migrazione interna dal Sud alle industrie del Nord in pieno boom economico») e i movimenti migratori di fine ‘800 («rivolti verso le Americhe e l’Europa, Manzotti studiò il fenomeno del ritorno in patria che spesso si rivelava un fallimento»). Il docente ha sottolineato l’impostazione «originale» degli studi di Manzotti sull’emigrazione derivante dal fatto che era uno storico-politico «che affrontò due discorsi paralleli: le politiche pubbliche da un lato e il dibattito fuori dalle istituzioni dall’altro». Studi che nel libro si concentrano soprattutto sul primo decennio unitario, caratterizzato dalla trascuratezza dei governanti di allora verso il fenomeno. «Il primo provvedimento a tutela degli emigranti - ha spiegato il prof. Rogari - lo si deve a Crispi nel 1889; due anni prima mons. Scalabrini fondò la Congregazione per l’assistenza degli emigrati italiani in America, collaborando in seguito al miglioramento di quella prima legge e delle successive».

Del vescovo di Piacenza esperto di migranti si è occupato padre Mario Toffari, missionario scalabriniano, direttore dell’Ufficio pastorale per i migranti della Diocesi di Piacenza. Dopo aver rilevato che dal 1875 al 1913 gli emigrati italiani furono 9 milioni, il relatore ha definito la conoscenza del fenomeno migratorio da parte di Giovanni Battista Scalabrini «molto pratica e frutto di esperienza personale» derivante dalle visite pastorali (dove constatava il vuoto delle vallate piacentine), dai viaggi in America e in Brasile, da quello che vedeva nelle stazioni di Milano e Piacenza da dove i migranti partivano. «Scalabrini pose domande di fondo - ha sottolineato padre Mario - come perché esiste l’emigrazione (o emigrare o rubare) proponendo ricerca scientifica, lavoro politico, culturale e sociale, interventi del governo, sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Poi passò all’azione: con congregazioni religiose, contro quelli che definì “sensali di carne umana” riferendosi ai mediatori che sfruttavano la disperazione di chi voleva emigrare. Scalabrini sosteneva il diritto ad emigrare ma anche a “non” emigrare, migliorando le condizioni di vita in patria». Il missionario ha quindi citato alcuni capisaldi del pensiero del vescovo piacentino: è sbagliato ostacolare l’emigrazione e lasciarla a se stessa; è necessario l’intervento legislativo; l’emigrazione è strutturale e non è un fatto passeggero; no all’assimilazione, sì all’integrazione nel rispetto delle identità. «Più che di integrazione - ha concluso padre Mario - io preferisco parlare di comunione tra i popoli». Agli intervenuti la Banca di Piacenza ha distribuito il volume “Via Francigena Italia e Vie Romee nella tratta Piacenza”.

Nella foto, il tavolo dei relatori, da sinistra Danilo Anelli, Sandro Rogari, Andrea Manzotti, padre Mario Toffari.

Pubblicato il 7 maggio 2025

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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