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Gli Apostoli Filippo e Giacomo furono i primi testimoni dell'annuncio del Signore risorto

Don Celso 03 

Nella chiesa di San Raimondo è stata celebrata da mons. Celso Dosi la messa in memoria della beata Maria Cristina di Savoia alla quale è intitolata l'associazione culturale piacentina presieduta da Rosella Beoni. La liturgia, quella del 3 maggio, ricordava i Santi Apostoli Filippo e Giacomo.
Ricordiamo alcune figure particolarmente significative che si sono distinte nella prima tradizione cristiana proprio per l'impegno e la dedizione mostrati nell'annuncio del Vangelo - ha detto il sacerdote all'inizio dell'omelia - . Grazie a loro conosciamo bene la situazione della Chiesa dei primi decenni, quando piccole comunità si raccoglievano facendo memoria dei gesti e dei segni che Gesù aveva compiuto, a partire dal Giovedì della Santa Cena: dallo spezzare il pane alla lavanda dei piedi. Erano piccole comunità sparse nei territori della Palestina, e poi lentamente diffuse grazie alle prime vie mercantili del mondo romano. Gruppi di persone che si trovavano a celebrare la presenza del Signore attraverso le prime preghiere eucaristiche”.
Nelle comunità alcune persone svolgevano il ruolo di capo - ha spiegato mons. Dosi - , ma non nell'accezione di una forma istituzionale verticistica. I capi erano persone che si distinguevano per una particolare capacità organizzativa e per la cura con cui tenevano in vita le prime comunità cristiane. Adoperandosi per alimentare la memoria di gesti, parole ed esempi del Signore, queste persone diventano testimoni di Cristo. Lo hanno visto direttamente, oppure hanno raccolto le testimonianze di coloro che erano accanto a Lui. Grazie all'impegno dei testimoni, gli insegnamenti del Signore non vanno dispersi e viene mantenuta viva l'esperienza religiosa all'interno della comunità”.
La nostra tradizione cristiana denomina queste figure con il termine di Apostolo - fa notare il sacerdote - . Di origine greca la parola Apostoloindica molto probabilmente coloro che hanno visto, che appunto sono stati testimoni di un evento, di un fatto, e hanno quindi sperimentato da vicino nella propria vita l'incontro con la persona di Gesù Cristo. Lo hanno visto nell'esperienza terrena, ma soprattutto lo hanno riconosciuto nella fede come il Signore risorto e glorificato.
La liturgia ci ricorda quindi gli apostoli Filippo e Giacomo – continua – due figure che si sono particolarmente distinte nello sforzo di tramandare agli atri la loro esperienza di vicinanza e condivisione con il Signore. Tra i primi a vivere personalmente la forza e la potenza della resurrezione di Cristo ne sono poi diventati i primi testimoni.

Il messaggio dei primi Apostoli

Cosa ci dicono allora questi Apostoli al di della loro denominazione? Ci intessa soprattutto cogliere il senso ultimo della cosiddetta  apostolicità  - ha sottolineato don Celso - , la capacità di portare nel nostro cuore la novità che Cristo ha annunciato con la sua vita.
«Io sono la via la verità è la vita», ha detto Gesù all'apostolo Tommaso. È questo l'annuncio che ciascuno di noi deve conservare. I primi apostoli hanno consegnato con la vita proprio questa notizia alle comunità, alle persone e alle generazioni future. Attorno a questa affermazione si sono poi raccolti i fedeli, hanno celebrato la presenza del loro Signore e lo hanno annunciato anche in altri contesti geografici”.
“Dobbiamo sempre ricordare che gli apostoli sono diventati testimoni perché si sono incontrati con Gesù il vivente – ribadisce -. Lo hanno incontrato vivo, non morto nel Sepolcro. Tommaso ha visto le ferite nel suo costato. La Chiesa e l'esperienza cristiana nascono proprio da questa dimensione di vita nuova, di vita Santa che Gesù ha donato ai suoi primi seguaci.
“La testimonianza degli Apostoli diviene allora paradigmatica per noi cattolici - ha spiegato monsignor Dosi- . Costituisce un elemento basilare su cui costruire e articolare tutta una serie di riflessioni e tradizioni legate alla vita della Chiesa”.
“Accogliamo quindi la testimonianza degli Apostoli - esorta il sacerdote in conclusione -, conserviamo l'esperienza e la notizia del Signore risorto, giunte fino a noi grazie ai primi testimoni. Ricordiamo anche i gesti di carità e solidarietà raccontati negli  Atti degli Apostoli,  a testimoniare ancora una volta l'incontro con il Signore. Gli Apostoli Filippo e Giacomo ci aiutino a maturare in modo responsabile nel dono della nostra fede battesimale”.

Micaela Ghisoni

 Nella foto, mons. Celso Dosi.

Pubblicato il 9 maggio 2024

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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