La credibilità dell’educatore in cammino
Nel salone della parrocchia di Santa Franca, a Piacenza, nella serata del 6 ottobre, educatori, catechisti e insegnanti di religione cattolica della diocesi si sono ritrovati per un nuovo appuntamento del percorso “Sulla vocazione educativa”, promosso dal Servizio diocesano per la Pastorale giovanile e vocazionale, dall’Ufficio Catechistico e dall’Ufficio Scuola, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Il titolo dell’incontro, “Essere in cammino: la credibilità dell’educatore”, ha orientato la riflessione comune grazie agli interventi della prof.ssa Alessandra Augelli, docente di pedagogia sociale e interculturale, e del prof. don Roberto Maier, docente di teologia, entrambi insegnanti all’Università Cattolica.
La fragilità che genera credibilità
La professoressa Alessandra Augelli ha aperto la serata con una domanda disarmante: “Quando diciamo che un educatore è credibile, che cosa intendiamo davvero?” La prof. ha risposto che non è la perfezione, non la coerenza assoluta, non l’assenza di errori. La credibilità, nella prospettiva pedagogica, nasce piuttosto dalla capacità di stare nella propria fragilità senza rinnegarla. È un cammino di consapevolezza, un continuo “stare in lotta”, come ricordava Romano Guardini, e non un traguardo da esibire.
Citazioni, immagini e parole si sono intrecciate con naturalezza: Italo Calvino, con la sua frase “bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brandelli”, ha aiutato a riconoscere che anche nella frammentazione si può intravedere un disegno più profondo.
Accogliere la propria vulnerabilità non significa cedere al vittimismo, né nascondersi nel narcisismo, due estremi, direbbe Pascal, tra cui l’essere umano oscilla di continuo. L’autenticità dell’educatore si gioca invece - per Augelli - nella capacità di riconoscere questo intreccio di grandezza e miseria, accettandolo come parte della condizione umana.
“Sbagliare è un’azione, non una definizione dell’essere”, ha sottolineato la relatrice, invitando a non confondere l’errore con l’identità. In questa prospettiva, anche la relazione educativa cambia volto: diventa un luogo di reciproca umanizzazione, dove le fragilità non sono ostacoli, ma possibilità di incontro.
Seguendo Levinas, la Augelli ha ricordato che è spesso l’altro, con le sue ferite, a risvegliare in noi la consapevolezza della nostra stessa vulnerabilità. Ma in una società che premia solo chi “funziona”, chiedere aiuto è quasi un atto rivoluzionario. Eppure, le comunità cristiane - per la docente - dovrebbero essere proprio questo: spazi dove le fragilità non si nascondono, ma si condividono, dove chi attraversa il buio trova una mano tesa, e dove la credibilità non coincide con la performance, ma con la fedeltà al cammino.
L’educatore - ha concluso la professoressa - non è chiamato a essere impeccabile, ma a essere luminoso nella notte, a lasciare che la luce filtri proprio dalle proprie crepe, come suggerisce, nel suo libro “I visitatori celesti”, Chandra Livia Candiani.
Dall’imitazione alla decoincidenza: un nuovo orizzonte educativo
Dopo aver attraversato il terreno della fragilità, don Roberto Maier ha condotto i presenti in un viaggio altrettanto provocatorio: quello attraverso la storia e i limiti di una pedagogia dell’imitazione. Nel corso dei secoli - ha spiegato - l’educazione cristiana ha spesso ruotato attorno all’idea di imitare un modello: il maestro, il santo, Cristo stesso. Ma dietro questa prospettiva si nasconde un rischio sottile: quello di trasformare la fede e l’educazione in un esercizio di conformismo spirituale, dove si misura la propria riuscita in base alla somiglianza con un ideale. “L’imitazione - ha detto - crea inevitabilmente gerarchie di somiglianza: chi è più vicino al modello è ritenuto migliore, più santo, più riuscito. Ma così si perde la verità irripetibile di ciascuno”.
Richiamando Platone e Aristotele, Maier ha ricordato come già il pensiero antico mettesse in guardia dai pericoli della mimesis. Tuttavia, proprio il cristianesimo - con espressioni come “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5) - ha finito per radicalizzare questa logica, generando spesso colpa, competizione e ipocrisia.
La conseguenza è una doppia vita: quella reale e quella idealizzata. Un meccanismo che, anche nelle comunità ecclesiali, può soffocare la libertà e la gioia.
Ma l’alternativa esiste, ed è ciò che don Maier ha chiamato “il Vangelo della decoincidenza”.
Gesù - ha spiegato - “non si è aggrappato alla sua uguaglianza con Dio, ma si è spogliato” (Fil 2,6-7). Ha scelto di non coincidere con le immagini predefinite del divino e, proprio così, ha rivelato la verità di Dio. Essere suoi discepoli, dunque, non significa imitarne i tratti esteriori, ma lasciarsi liberare da ogni immagine fissa di sé e di Dio, per scoprire nella prova la propria autenticità.
Qui - per il relatore - l’educazione si trasforma, come suggeriva Paulo Freire (padre della pedagogia problematizzante) in dialogo, in cammino condiviso. Non un rapporto verticale di modelli e imitatori, ma una ricerca comune di senso, dove l’evento, la crisi, la ferita diventano occasione di verità.
Riccardo Tonna
Nelle foto, i relatori, Alessandra Augelli e don Roberto Maier e il pubblico presente.
Pubblicato il 7 ottobre 2025
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