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Madre Emmanuel: «Dio è speranza, crediamo nel suo amore»

 lectio San Raimondo3

“Siamo qui per iniziare la preparazione all'Anno Santo e oggi affronteremo il tema della speranza, proposto come centrale in questo periodo e ricordato anche da papa Francesco. Così madre Emmanuel Corradini ha introdotto lo scorso 5 ottobre la sua prima lectio a cadenza mensile dopo la pausa estiva, nel monastero di San Raimondo. “Cos'è la speranza”? Questa la domanda a cui l'abbadessa benedettina ha cercato di rispondere davanti ai tanti fedeli accorsi ad ascoltarla anche da fuori città. A prima vista la risposta appare semplice, ma la monaca ha dimostrato che in realtà non lo è affatto.
Ha quindi iniziato la sua analisi dalla Parola di Dio, definita «la fonte della speranza». Lo ha fatto citando subito la “Lettera di San Paolo ai Romani”, al capitolo 5. “Per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo abbiamo ottenuto mediante la fede di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, nella speranza della gloria di Dio. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.

 La speranza dipende dallo Spirito Santo
“Possiamo allora vivere con speranza”? La domanda posta subito dopo dall'abadessa sorge naturale.
“La risposta è si – ha detto - perché la speranza non dipende da noi ma dallo Spirito Santo, che, come afferma San Paolo, ha «riversato l'amore di Dio nei nostri cuori». Ecco che allora l'orizzonte cambia. Se consideriamo la speranza come frutto dalla potenza dell'amore di Dio, essa sarà certa e non verrà meno: e come tale costituisce una grazia che va accolta. Si chiama virtù teologale proprio perché donata da Dio. Solo Dio può colmare il nostro desiderio di felicità e la speranza è accoglienza della Sua grazia : ma per ottenerla bisogna crederci, cercarla, invocarla”.
“Credo che mai come in quest'epoca dell'umanità abbiamo bisogno di una «speranza salda e affidabile», perché c'è tanta paura. - sottolinea quindi la madre rifacendosi all'enciclica 'Spe Salvi facti sumus' di Benedetto XVI - . Penso che l'uomo di oggi si accanisca sulla sua vita presente proprio perché non sopporta di guardare al futuro con occhi di speranza. Abbiamo paura che il bene nel mondo divenga impotente, incapace di vincere il male del presente”.

Come tenere viva la speranza
L'oggettività del quadro descritto dischiude un nuovo, urgente interrogativo: come riuscire a tenere viva la speranza? Per rispondere la suora inquadra prima l'abituale e infruttuoso agire umano, e poi focalizza gli elementi costitutivi di un'azione guidata dalla speranza nell'amore di Dio.
“Prima di tutto ciascuno di noi ripone tutte le sue speranze sulle cose che ha, o che vorrebbe avere e non ha – ha spiegato la superiora - . Ma l'uomo non può essere ridotto a una cosa, ha bisogno di un Tu a cui rivolgersi. In questo il Vangelo ci aiuta, aprendo le speranze dell'uomo a Dio stesso. Lo fa invitando a non fermarsi alle cose e a cercare oltre ad esse qualcosa di più profondo. Senza mortificare gli aspetti materiali della vita, il Vangelo ci esorta ad ambire a ciò che dà loro senso e consistenza. Una senso che si può trovare solo nel rapporto con Dio. Il desiderio dell'uomo deve allora tendere a Dio stesso: le cose restano importanti ma non sono il fine della vita, solo Dio lo è. Così intesa la speranza libera l'uomo dalla schiavitù delle cose”.

Fedeli Madre Emmanuel 4


La speranza è sperare Dio stesso
“In secondo luogo tendiamo a confondere la speranza con un bonario ottimismo – osserva - . Ma a differenza dell'ottimismo la speranza non ignora ciò che accade e sa guardare la realtà con lucidità, anche nei suoi risvolti più difficili. Dare spazio alla speranza vuol dire lasciar posto al miracolo e all'attesa. Per gli stessi motivi allora la speranza non è nemmeno la fuga dalla realtà che spesso mettiamo in atto per scappare dai problemi e non vederli. Al contrario proprio la speranza ci mette di fronte alle situazioni più difficili e in quei momenti apre la porta alla Parola di Dio, diventando così affidamento in Lui: allora sperare non significa sperare in qualcosa, ma sperare Dio stesso”. A confermarlo è San Agostino, citato dalla superiora: “Sia il Signore Dio la tua speranza. Molti da Dio sperano qualcosa fuori di Lui, ma tu cerca lo stesso tuo Dio dimenticando le altre cose e ricordandoti di Lui: Egli sarà il tuo amore”.  Cristo è quindi la speranza – ha chiosato l'abadessa - , è il compimento del nostro cuore: la speranza si riveste dell'amore del volto del Padre, per Gesù è il Padre stesso. Dopo queste considerazioni il passaggio alla riflessioni successiva è stato breve.

La preghiera è fondamentale
“Come possiamo imparare ad accogliere e a mantenere la speranza”? - si è chiesta la madre.
Innanzitutto con la preghiera. E qui la madre ricorda le parole di papa Francesco. “La preghiera apre la porta alla speranza. Gli uomini di preghiera custodiscono le verità basilari su cui appoggiare la vita,
per viverla con speranza”.

“La vita stessa diventa quindi fonte di speranza – fa notare -, perché è un dono ricevuto da Gesù. Pregando si diventa operatori di speranza per sé stessi e per gli altri, più forti dello scoraggiamento e del male che colpisce ciascuno di noi. Consapevoli che Dio non ci abbandona, anche noi come gli apostoli sulla barca possiamo allora dire: 'È il Signore!' e buttarci nella storia di ogni giorno. Ma dobbiamo chiederci con sincerità se preghiamo e se lo facciamo con fede, soprattutto di fronte ai problemi”.
“Figlia dell'umiltà, la speranza cristiana ci dona poi la consapevolezza che Dio è più grande del nostro cuore e di ogni nostro avvilimento. Grazie all'umiltà generatrice di speranza possiamo trasformare e consegnare a Dio paure, amarezze e durezze, senza bisogno di piacere e cancellare le nostre imperfezioni agli occhi del Signore”.
A seguire la citazione Padre Pio: “più un'anima conosce Dio e conosce sé stessa nella verità, più spera nei meriti del Salvatore”.
“Solo l'umiltà di riconoscerci bisognosi ci butta nelle braccia del padre nella speranza di essere amati e salvati. – commenta quindi la suora - . Ma noi dobbiamo avere la certezza e la volontà che questo inizi qui e ora.

Essere misericordiosi

Terza modalità per accogliere e preservare la speranza è fare «dono di sé stessi e smettere di essere al centro del mondo».
“Uscire da sé stessi e farsi carico delle situazioni degli altri permette di immettere speranza nella nostra vita – ha spiegato madre Corradini - . Bisogna aprirsi all'altro perchè la speranza diventi comunione di vita, condivisione di fede, capacità di carità oggettiva, vera La speranza cristiana ci sollecita ad una prossimità che invece nel nostro egoismo tendiamo ad evitare”.
Ultima condizione necessaria per vivere la speranza è la nostra consapevolezza di «essere oggetto della misericordia di Dio».

“Ciascuno di noi nella vita ha sperimentato di essere stato salvato dalla misericordia di Dio e dobbiamo farne memoria. Gli altri ci hanno ritenuto più volte incapaci, inappropriati; anche noi stessi ci siamo sentiti così a fronte di tante situazioni, ma la misericordia di Dio ci è venuta incontro e ci ha salvato – ricorda la superiora - . Non dobbiamo dimenticare tutte le volte che il nostro peccato è stato cancellato dalla misericordia divina attraverso la confessione. L'occhio della compassione è quindi l'occhio della speranza. Il Vangelo è pieno di peccatori, di uomini e donne salvati dalla misericordia di Dio, la nostra vita è simile alla loro. Allora anche noi dobbiamo avere occhi di compassione verso gli altri: solo uno sguardo misericordioso sull'uomo, chiunque esso sia, può ricostruire speranza. Uno sguardo come quello di Madre Teresa di Calcutta, che ha guardato ogni uomo, dal Presidente degli Stati Uniti al lebbroso sulla strada, partendo dalla contemplazione di Gesù crocifisso e ridando a tutti la speranza e la stima di cui ciascuno è rivestito”.
“Ma anche Dio spera qualcosa da noi – ha avvertito la madre in conclusione - . Il ravvedimento di uomo, la nostra conversione è il coronamento della speranza di Dio”.

Micaela Ghisoni

Nelle foto, madre Corradini e il pubblico alla Lectio in San Riamondo.

Pubblicato il 14 ottobre 2024

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  • In Cattedrale è stato ricordato il beato Secondo Pollo

    pollo

    Lunedì 26 dicembre il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha presieduto la messa in Cattedrale a Piacenza nella memoria del beato Secondo Pollo, cappellano militare degli alpini. Vi hanno partecipato i rappresentanti delle sezioni degli Alpini di Piacenza e provincia e i sacerdoti mons. Pierluigi Dallavalle, mons. Pietro Campominosi, cappellano militare del II Reggimento Genio Pontieri, don Stefano Garilli, cappellano dell'Associazione Nazionale degli Alpini di Piacenza, don Federico Tagliaferri ex alpino e il diacono Emidio Boledi, alpino dell'anno nel 2019.
    Durante la Seconda guerra mondale, il sacerdote parte per la zona di guerra del Montenegro (Albania), dove trova la morte il 26 dicembre dello stesso anno, colpito da fuoco nemico mentre soccorreva un soldato ferito. 
    Originaio di Vercelli, fu beatificato il 24 maggio 1998 da papa Giovanni Paolo II. 

    Nella foto, il gruppo degli Alpini presenti in Cattedrale con il vescovo mons. Adriano Cevolotto.

    Pubblicato il 27 dicembre 2022

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