Andrea Aziani e la sua «febbre di vita» all’Happening di CL
Ogni cosa che accade è un avvenimento. Un “happening”, è il caso di dire. L’evento di Comunione e Liberazione è tornato dopo diversi anni a Piacenza, sul Pubblico Passeggio. Sabato 15 giugno si è parlato di Andrea Aziani, “memor domini” e “servo di Dio”. Nel 2016 mons. Lino Panizza, vescovo della diocesi di Carabayllo, ha annunciato l’avvio della causa di beatificazione. Il ricordo di Aziani è stato affidato a Gian Corrado “Dado” Peluso, autore del libro “Andrea Aziani. Febbre di vita” insieme a Gianni Mereghetti, e a Fausto Capurri, piacentino d’adozione che ha vissuto con Aziani a Siena a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. A moderare l’incontro il professor Giorgio Ferri.
Il “mistero” dell’amicizia
«Andrea Aziani è deceduto il 30 luglio 2008 a Lima, in Perù, ma è presente oggi. Sia per chi l’ha conosciuto, sia per chi, attraverso il libro, lo incontra per la prima volta», ha detto Ferri in apertura. «Già in vita veniva percepito come un santo, una santità che, tuttavia, non creava una distanza. Negli anni ’70, in quattro piacentini abbiamo ricevuto il dono della conoscenza di Andrea». Peluso ricorda Aziani come «un tipo impetuoso, con un intenso amore per la verità. Aveva un carattere forte ma allo stesso tempo era di una tenerezza incredibile, con un attaccamento agli alunni che lo faceva essere come un padre». «A sei anni Andrea perse sua madre – ricorda Peluso – un dolore incancellabile. In quegli stessi anni iniziò il cammino che lo portò a incontrare Comunione e Liberazione e al definirsi della sua vocazione». Chi l’ha conosciuto ricorda Andrea Aziani come un amante della vita, “appassionato” di qualunque persona incontrasse, dai suoi studenti ai contestatori della Chiesa. «A volte spariva per giorni – racconta Capurri – e altre capitava di incontrarlo più volte in una giornata. Parlava con tutti, giovani, vecchiette, oppositori». «Per cosa vale la pena spendere il tempo? Per rispondere a questa domanda, Andrea disse che decisivo fu l’incontro con don Giussani. Andrea guardava alla sua storia passata come “mirabilia dei”, tutto ciò che accade è per un bene, ogni cosa che accade è un avvenimento». Nel 1976 don Giussani chiese a quattro universitari, tra cui Aziani e Peluso, di lasciare Milano per Siena e aiutare così la presenza cristiana in università. “Don Giussani ci disse che l’importante non era quante persone saremmo riusciti ad aggregare, ma che maturasse in noi la coscienza del mistero che ci legava”.
Un desiderio di pienezza
«Andrea era una persona dall’enorme spessore umano – ricorda Capurri – ma era un uomo come noi. Non era un santino, ma un uomo in carne ed ossa. La sua vita fa nascere un desiderio di pienezza: il mio desiderio era raccontare la sua storia in questa città, dove c’è stato uno sviluppo della mia personalità. Io sono un testimone, il mio cammino di studente universitario a Siena si è intrecciato con il suo. Il mio primo “incontro” con lui fu grazie a don Giussani, che venne a Giulianova, mia città natale, l’8 ottobre 1979. Mi ero appena diplomato e stavo per trasferirmi a Siena per studiare Scienze economiche e bancarie. Mi piaceva, ma la temevo. Avevo paura di perdere il legame con gli amici. Parlai di questo a don Giussani e lui, sentita la parola “Siena”, pensò subito ad Andrea Aziani. Mi disse che quell’esperienza mi avrebbe fatto tornare a casa e sentire quelle amicizie più forti di prima».
Il terremoto in Val Nerina e l’aiuto agli altri
A Siena, Fausto Capurri visse insieme ad Aziani. «Andrea non aveva tempo per dormire. Una sera tornò a casa, dopo cena, e mi disse che c’era bisogno di una mano in Val Nerina per la ricostruzione post terremoto. Accettai senza esitare. Al mio ritorno, con l’inizio dell’anno accademico, partecipai a momenti di accoglienza per le matricole come me: avevamo da proporre piccole soluzioni ai problemi dei nuovi arrivati ma soprattutto offrivamo una compagnia, l’opportunità di non essere soli. Inizio anche un piccolo ma sistematico gesto di condivisione: ogni quindici giorni si andavano a trovare bambini “affidati” ad un istituto. In quei tre anni e mezzo avevo la sensazione che Aziani mi volesse bene davvero, che mi preferisse. Era vero, ma non diversamente da tutti quelli che gli capitavano davanti. Era una preferenza non solo per le persone ma anche per i fatti e per le cose. Poi mi offrirono un lavoro in banca e me ne andai, Aziani mi diede la sua benedizione e partii».
“In Perù Aziani è maturato perché apparteneva a Cristo”
Andrea Aziani rimase a Siena fino al 1986, poi si trasferì a Firenze e infine nell’89 volò in Perù, su invito di mons. Giussani, cui si era rivolto il padre domenicano Johan Leuridan, docente e preside universitario. Lì crebbe il lavoro educativo coi primi giovani di Comunione e Liberazione. Negli anni ‘90 in Perù c’era un contesto politico instabile e violento. Andrea visse il primissimo periodo da solo, combattendo anche con la paura. «Paura di sbagliare strada, di perdere le chiavi, di non imparare la lingua, di essere rapinato». Ma l’incertezza di quella situazione lui la considerava un grande aiuto per quello che era chiamato a fare: essere “Memor Domini”, vivere con Cristo, l’unico lavoro che si può fare sempre. Era maturato come uomo perché apparteneva a Cristo. In quella solitudine apparente, Andrea forgiò la coscienza di sé che lo rese libero e creativo e generatore di vita. Nel ‘98 mons. Lino Panizza, vescovo di una nuova diocesi di Lima, cercò Andrea per aprire una nuova università che iniziò le sue attività nel 2000. Il vescovo era convinto che la questione educativa fosse centrale in un paese come il Perù. E di quella istituzione Andrea fu fondatore, docente appassionato e anima, assieme agli amici “Dado” (Gian Corrado Peluso) e “Tista” (Gianbattista Bolis), che mons. Giussani già dal ‘92 aveva mandato, proprio per aiutare Andrea nella sua esperienza e nella sua vocazione. Aziani diceva che «avevamo un debito verso quei ragazzi», gli studenti, che «il nostro compito – prosegue Peluso – era creare una generazione libera e cosciente, capace di ricreare un nuovo Perù. Mons. Giussani diceva che il mondo intero valeva meno di ciascuna persona. E Andrea sapeva che non potevamo salvare nessuno, o risolvere la povertà dei bambini che incontrava; tuttavia, era certo che Dio avesse assegnato a ognuno di noi la responsabilità verso di essi. La sua era, dunque, un’umanità che esplodeva in tutte le dimensioni e la molla era l’amore infinito per Cristo presente».
Francesco Petronzio
Nella foto, Fausto Capurri, Giorgio Ferri, Gian Corrado Peluso.
Pubblicato il 16 giugno 2024
Ascolta l'audio
Ascolta l'audio